Oggi è una di quelle giornate con poche idee e ben confuse, quelle giornate in cui guardo la pagina bianca del computer e non riesco a scegliere un argomento su cui poter riflettere e scrivere. Una di quelle giornate che mi ricordano quanto sia difficile alcune volte uscire dall'immobilità.

Basterebbe così poco, per cambiare davvero le cose. Iniziando per esempio a dare il giusto riconoscimento a questa esperienza umana, fin dalla più tenera età. Sviluppando più consapevolezza di quello che si agita in noi, riconoscendo e imparando a vivere il dolore con la curiosità di chi sa che tutto ha un senso nella natura, anche l'esperienza dolorosa.

Non sarebbe ora di rivendicare la nostra fallibilità come diritto inalienabile dell'essere umano? La libertà di provare, di riuscire ma anche di poter fallire.

Per ogni inizio, c'è la malinconia di una fine. La fine di un percorso che ha fatto il suo meglio per portarci a fare questo nuovo passo che ci fa tanta paura.

Ho imparato quanta forza e potenza ci sia, nella condivisione. Una cosa che sembra essere sempre più rara. Le persone hanno tanta voglia di parlare e connettersi con gli altri, ma sembra che manchino loro, le parole per farlo.

Mi hanno chiesto "Lisa, cosa significa dare troppo?" ed è bastata questa semplice frase per riportarmi indietro nel tempo. A una giornata plumbea in centro città.

Questa settimana sono tornata indietro nel tempo: al tempo del saggio di fine anno. Un tempo frenetico ed emozionante, perché il saggio non è mai stato "solo" danza per me, ma decisamente molto di più.

Non abbiamo mai finito davvero di imparare nella nostra vita, soprattutto non finiamo mai di conoscere davvero noi stessi. Non si finirà mai di costruire e ampliare la nostra identità, un po' come avviene con una casa. La nostra casa.

Nella nostra casa interiore ognuno ha il proprio sgabuzzino.

Quello dove nasconderci di tutto, soprattutto le cose che risultano più scomode.

Nel momento che decisi di aprirlo, tutto è cambiato.