Pagina Bianca
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BUON ASCOLTO!
Oggi è una di quelle giornate con poche idee e ben confuse, quelle giornate in cui guardo la pagina bianca del computer e non riesco a scegliere un argomento su cui poter riflettere e scrivere. Una di quelle giornate che mi ricordano quanto sia difficile alcune volte uscire dall'immobilità. Perché questa è la sensazione di impasse che mi porta a fissare la pagina bianca senza saper da dove cominciare per scrivere qualcosa.
Pensavo di non sperimentare mai il blocco dello scrittore, o almeno che si sarebbe ritardato di un bel po'. Ho sempre pensato di avere tante cose da raccontare, partendo dalle più semplici avventure, da cui traggo sempre una morale per voi da portare a casa. Questo è sempre stato il mio piano. Quindi eccomi qui a guardare gli appunti, i testi già scritti, il quadernino delle idee. Niente che mi piaccia, niente che mi ispiri a raccontare qualcosa di nuovo e avvincente. L'orologio batte spietato i rintocchi. Il tempo avanza, mentre io sono paralizzata davanti la pagina bianca del computer. Devo fare qualcosa, sì ma cosa?
È questo che in molti sperimentano in tutte quelle situazioni in cui sembra di non riuscire a scorgere nessuna via d'uscita o semplicemente in cui la motivazione viene meno. Siamo così concentrati su tutto quello che dovremmo fare, da non sapere più da dove partire. Così inizio a scrivere, inizialmente cose no sense, poi del mio blocco creativo. L'unica cosa a cui riesco a pensare infatti è quanto io mi senta bloccata, quindi a questo punto, meglio buttarla fuori con la scrittura. Il modo che preferisco per liberarmi dei pensieri in generale. Scrivo e scrivo, racconto cosa mi sta succedendo e mentre mi immergo nel foglio con il dolce sottofondo musicale che mi accompagna, mi perdo nei miei pensieri. Inizio a pensare a quante volte ci sentiamo paralizzati davanti a quelle che sembrano sfide più grandi di noi. Indecisi sul da farsi, tremendamente insicuri e agitati. Con le mani che sudano, lo stomaco che si attorciglia e quella latente nausea fastidiosa. Forse per questo, tendiamo a procrastinare. Per ritardare, quanto possibile, quel momento di forte disagio. Quel momento in cui dobbiamo far fronte a delle scelte e alle nostre responsabilità. Quel momento di panico generale.
Durante gli anni da infermiera in pronto soccorso, ho messo molto alla prova la mia capacità di adattamento alla confusione e allo stress in generale. Lavorare nel mondo dell'urgenza ed emergenza è stata una incredibile opportunità per affrontare le mie paure. Forse per questo ero stata così elettrizzata, davanti la proposta di iniziare proprio in quel reparto. Un campo di battaglia intenso e che mi metteva addosso una incredibile paura. Ho scoperto di amare queste paure, perché mi spronavano all'azione, portandomi a scoprire lati di me che non avrei mai pensato di avere. Ebbene, durante le urgenze mi trovavo a guardare con ammirazione tutti quei colleghi che riuscivano a mantenere la calma e il sangue freddo. Lavorare placidi ma attenti, nonostante la forte pressione di salvare vite umane. Ho studiato e osservato tanto queste persone, per imparare ad essere come loro. Lavorare precisi, mantenendo il sangue freddo e la mente concentrata, spegnendo per quanto possibile l'emotività. Come implacabili macchine da guerra. In una guerra aperta tra la vita e la morte. Niente era lasciato al caso, ma tutto seguiva un ordine ben preciso. Tutto aveva una sua priorità e un suo schema di esecuzione. Non potevi sbagliare, se ti concentravi su quello che c'era da fare e lo dividevi nelle singole azioni da compiere. Appena iniziavi, tutto veniva di conseguenza e ti ritrovavi in un flusso che permetteva di coordinare tutto lo sforzo necessario, senza sprecare di fatto energie in pensieri inutili.
Riflettevo su questo, mentre osservavo quanto tempo ed energia sprecavo arrovellandomi su cosa dovessi fare e perché, invece di semplicemente iniziare a fare qualcosa di concreto. Per questo sono tornata con la mente alle urgenze in Pronto Soccorso, ho rivangato quelle esperienze per ricordarmi cos'è che facevo in quei momenti in cui non ci si può permettere di sprecare tempo. Si iniziava sempre dalle azioni più semplici, quelle che garantivano di risolvere i problemi immediati della persona, quelli che coinvolgevano le funzioni vitali; poi il resto veniva di conseguenza. Una volta stabilizzato il paziente infatti si può iniziare a ragionare su come modificare i successivi interventi andando ad indagare le cause più profonde e non sempre evidenti ad una prima valutazione.
Ed è questa la chiave per rompere l'immobilità: fare qualcosa. Nelle situazioni non emergenziali va bene letteralmente qualunque cosa. Anche scrivere cose no sense, su un foglio bianco, in pieno blocco creativo. Iniziare da quell'azione più piccola e apparentemente insignificante per permettere all'energia e all'ispirazione di iniziare a fluire liberamente nel corpo. Quell'azione che avrà come riflesso una valanga di azioni via via più grandi e specifiche. Tutto parte da qui, dalla scelta di fare qualcosa di diverso da quello che ci ha spinto all'immobilità. Quindi smettendo ad esempio di riflettere troppo su una determinata situazione e iniziando invece ad agire, compiere qualsiasi azione che ci sciolga dalle catene della procrastinazione.
Non è importante come si inizia, ma come si finisce di fare le cose. Perché è quello il nostro punto d'arrivo, il nostro obiettivo. Concludere quell'impegno che ci tiene bloccati nella ruminazione mentale. Che ci spinge all'immobilità. E per farlo, non servono grandi progetti o grandi idee. Serve solo iniziare per davvero, con azioni concrete seppur piccole e all'apparenza banali. Come iniziare a scrivere qualche parola slegata da un contesto, quando si ha idea di scrivere un racconto senza sapere di cosa parlare per davvero. È quella piccola azione che dovete ricercare, quel punto d'inizio fondamentale per qualsiasi impresa vi stia tenendo nell'immobilità.