Scegli chi vuoi essere

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BUON ASCOLTO!

 

Questa settimana sono tornata in ospedale per la prima volta, dopo tanto tempo. Mesi. Era la prima volta che ci rientravo come utente laica, invece che come professionista. Una visita ordinaria, per mia nonna. Una semplice accompagnatrice. Ho bellissimi ricordi, dell'ospedale del mio paese, ai tempi del tirocinio. Ero al primo anno di Università. Ricordo ancora il terrore del mio primo giorno, così come ricordo la sensazione di pace che mi aveva colta nell'uscita. L'incontro con la vera sofferenza, aveva ridimensionato tutti i miei problemi, nel giro di sole 7 ore di turno. Ricordo che fu in quell'istante che decisi di dare una vera opportunità a quel mondo di cura e prevenzione.

Oggi mi ritrovavo nello stesso viale, 7 anni dopo, diversa. Cambiata. Lo scontro con questa realtà, non più edulcorata dagli occhi sognanti di ragazza, è stata durissima. Il cuore ha cominciato a correre rapido nel petto, il respiro corto e superficiale, sul torace un peso di piombo. I segnali erano lampanti, soprattutto per una ex infermiera di Pronto Soccorso: stavo avendo un attacco di panico. Nel caos dell'atrio, fagocitata da quel tripudio di umanità, sofferenza e disperazione, io mi sentivo soffocare. Come fossi catapultata d'improvviso indietro nel tempo, nel piccolo stanzino del triage di Arco, davanti ad una folla inferocita, nell'afa di una calda giornata d'estate ormai passata. Rimbombano forte i campanelli, l'incessante suono dei telefoni, l'autoparlante meccanico, una sirena in lontananza, il vociare sommesso, i lamenti, i pianti di un bambino. La bocca mi si fa secca in un attimo, mentre guardo con occhi sgranati la colonnina delle prenotazioni. Mia nonna attende pazientemente che mi decida. Il tempo scorre, mentre le mani mi si bagnano di sudore. Una gentile signora, anziana pure lei, mi si avvicina dolcemente. Mi vede persa e frastornata, prende il biglietto per me e me lo porge. Le sorrido e la ringrazio di avermi tolta dall'impasse. Mi sorride di rimando, mi indica che presto avrebbero chiamato il mio numero e come si era avvicinata, si allontana. Cerco di ricompormi, l'operatrice alla cassa fa suonare il mio numero e attende al di là dello sportello. Nonna mi segue, calma e composta, non riesce a capire tutto ma si affida e si fida di me. Le sorrido, sistemiamo le impegnative e abbiamo fatto, le dico. L'operatrice mi parla scocciata, quando non riesco a capire subito quello che mi chiede. Nel frastuono generale, tra maschere, vetri e doppi vetri capirsi è una impresa. Mi scuso. Prendo nonna sotto braccio e mi indirizzo al piano superiore.

Il peso opprimente non dà segni di allentare la sua morsa, stringo forte il braccio di nonna, come fosse l'unico mio appiglio alla realtà. Proseguiamo. Trovato l'ambulatorio, ci accomodiamo sulle sedie della piccola sala d'attesa. Saluto tutti, ricevendo deboli sorrisi di rimando. Faccio di tutto per non pensare al cuore martellante nel petto. I minuti passano, mentre davanti a noi, le persone sfilano ordinatamente all'interno dei vari ambulatori di competenza. Gli infermieri escono a turno, chiamano meccanicamente, uno dietro l'altro. Torno indietro nel tempo, a quando presenziavo l'ambulatorio ortopedico al primo piano nel mio ospedale trentino, cercavo di uscire sorridente ogni volta che dovevo chiamare i presenti, li chiamavo sempre con voce alta e squillante. Ridevo sempre molto, con i pazienti e con i vari dottori che affollavano quelle mattine infrasettimanali. Ogni volta che incrociavo una signora anziana dolce e riservata, in particolar modo, pensavo alla mia cara nonna. Con queste pazienti, in particolare, mi impegnavo ad essere ancora più dolce attenta e disponibile; come parlassi a lei e come avrei voluto tanto le parlassero un giorno.

La visita è stata eseguita in maniera attenta e minuziosa. A nonna viene chiesto di fare tanti esercizi diversi, impegnativi e necessari. Esegue tutto con diligenza e candore, mentre l'operatrice la strapazza, più attenta al risultato che alla persona. Perché anche se nonna non se ne cura molto, io noto ogni gesto espressione o parola detta, che mal cela una certa impazienza e fastidio. Noto tutto perché tutti quei sentimenti li ho conosciuti bene nei miei ultimi mesi da professionista sanitaria. Di nuovo l'impasse. L'operatrice inizia a vomitarmi la serie di indicazioni e valutazioni riscontrate, parla a me come se nonna lì di fianco non esistesse più, mi rimbecca per delle mancanze. Annuisco e mi scuso, di nuovo. Non riesco a fare altro, mentre gli occhi mi si imperlano. Accompagno nonna sulle sedie e l'aiuto a vestirsi e sistemarsi. Mi ripeto di non mollare, mentre la testa inizia ad affollarsi di pensieri sconclusionati e dolermi nel profondo. Radunati i referti, ci dirigiamo all'uscita, questa volta sono io che mi aggrappo a nonna, imperturbabile calma e composta.

 
Attacco di panico, scontro di identità
 
 

L'aria del parcheggio mi sferza il viso, tolgo la mascherina come se fosse quello il motivo della mia mancanza d'aria, ma l'aria non entra. Riesco solo a fare respiri deboli e superficiali. Ho voglia di scappare. Di isolarmi nella quiete di casa mia. Sorrido a nonna, mentre entra dalla porta di casa sua, cerco di non far trapelare nulla del caos che mi si agita dentro e mi allontano velocemente. Nella sicurezza delle mie mura di casa, il cuore si fa più calmo e il peso si alleggerisce piano piano. Torno a respirare lentamente, sempre meglio. Cosa mi ha fatto davvero paura? Cosa vuole significare questa mia reazione ad un ambiente che ha rappresentato per me una casa, per così tanto tempo? La testa mi si affolla di mille pensieri a cui non riesco a dare una risposta che mi convinca. Non subito almeno. Non in questo momento di accesa emotività. Mi do del tempo, perché capisco che solo quello può aiutarmi a sgrovigliare la matassa dei pensieri. Qualche giorno dopo e dopo un bel colloquio con la psicologa, sono riuscita a dare un senso a tutto.



"Parliamo di scontro di identità, Lisa. La vecchia te con la nuova te. Due mondi diversi, che convivono e hanno convissuto in te. La domanda giusta da porsi ora è: chi è davvero Lisa? Chi vuoi essere?"



Guardavo la psicologa tra le lacrime, mentre realizzavo le sue parole. Non si può pensare di cancellare una vita, nel giro di qualche mese. Non si può cancellare facilmente una identità che ha rappresentato per me tutta la mia esistenza, da che ho ricordi. Non in maniera così immediata almeno. Anche perché, per me, l'essere infermiera è ed è stato un contorno definito, in cui sentirmi al sicuro per davvero tanto tempo. Un tempo in cui, la ricerca di una identità rappresentava tutto il mio mondo conosciuto. Ancora adesso, lo incorporo nella mia definizione. Per questo continuo a definirmi una ex infermiera. Ancora un luogo sicuro, finché non trovo una nuova definizione, non diversa ma più… completa. Non è cancellando il passato che posso trovare il mio nuovo senso presente, ma è nel suo ampliamento. Perché io sono anche infermiera. Ma prima di tutto io sono Lisa. In fin dei conti quello che ho sempre voluto essere, è sempre stato essere semplicemente me stessa. Perché solo io posso essere l'insieme di tutti i miei mondi interiori. Solo io posso essere la mia definizione completa, senza scissioni interne. Io sono Lisa e faccio me stessa, in una maniera che vuole essere solo mia e di nessun altro. La mia identità è questa, alla fine, ed è quella che agogno da davvero tanto tempo, così tanto da non saperne dare una datazione precisa. Il mio unico desiderio è ritrovare quella vera me, che ho provato ad incasellare in una definizione, senza riuscirvi; perché di fatto impossibile. È questo quello che voglio anche ora, anche qui, mentre scrivo queste mie parole.

Non abbiamo mai finito davvero di imparare nella nostra vita, soprattutto non finiamo mai di conoscere davvero noi stessi. Non si finirà mai di costruire e ampliare la nostra identità, un po' come avviene con una casa. La nostra casa. Ci sarà sempre qualcosa da aggiungere, migliorare, pulire o sistemare. E tutto il tempo impiegato a fare questo, non sarà mai tempo perso. Ma investito. Investito su di noi. Noi che siamo il nostro miglior investimento. Il più bello, sfidante ed emozionante di sempre. Meritiamo così tanto. Meritiamo tutto il tempo e l'energia che spesso, tendiamo a prioritizzare nei confronti altrui. Quindi iniziate a darvela questa priorità. Iniziate a guardare questo io, impolverato, che fa da sfondo alla vita di tante altre persone. E scegliete voi e per voi, sempre. Per chi siete e chi volete diventare. Per ritrovare quella dannata identità che, finalmente, coinciderà con chi siete veramente.

 

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