Il saggio di danza
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BUON ASCOLTO!
Questa settimana sono tornata indietro nel tempo: un tempo di colori vivaci, musiche ritmate, ansia e trepidazione. Un tempo di balli e spettacoli vivaci. Il tempo del saggio di fine anno.
Mamma mi incalzava da un po' a sistemare tutti i costumi accumulati nei 17 lunghi anni in cui, sia io che mio fratello Enrico, abbiamo calcato i palchi della provincia di Verona. Danza è sempre stata una passione che ha accomunato entrambi, come continua a farlo ancora oggi. Da piccoli ci divertivamo un mondo a creare elaborati spettacoli di danza tra le mura domestiche. Chiudevamo diligenti la porta della cucina prima di iniziare ogni preparativo, disponevamo la platea del nostro teatro improvvisato: due sedie totali, una per mamma e una per papà chiusi in attesa in cucina. Alberto, il fratello maggiore, prendeva posto alla console della radio del salotto, una di quelle con grandi casse acustiche e lettore CD, e riordinava tutte le richieste musicali che gli affidavamo. Nel mentre, io ed Enrico pensavamo alla scaletta ufficiale della serata e al necessario riscaldamento muscolare, con salti e corse tutt’intorno il palco improvvisato. Preparato tutto, si entrava in scena. Si apriva la porta della cucina per far accomodare gli illustri ospiti e si dava inizio allo spettacolo vero e proprio. A turno, sia io che mio fratello, davamo lustro al nostro estro artistico. Gli applausi uscivano copiosi dal nostro pubblico che ripagavamo con profusi inchini di ringraziamento e grandi sorrisi di compiacimento. Fu dopo uno dei tanti spettacoli improvvisati che mia madre decise di iscriverci entrambi a danza. Avevamo 6 e 9 anni.
Ricordo ancora il giorno del colloquio con la direttrice della scuola di danza di Soave. Appena entrata fui sommersa dal vociare bambino che animava la scuola, rimasi incantata dalla grande sala col parquet e gli specchi luminosi. La direttrice non voleva saperne di mettere due bambini di età diverse nello stesso gruppo, eppure non ebbe modo di convincere mia madre di altre possibilità: fu così che io ed Enrico procedemmo di pari passo alla scoperta di questo mondo di movimento e musica. Gli anni passarono veloci; cambiarono i maestri, i compagni di corso, la scuola. Ma non noi. Io e mio fratello proseguivamo stoici nell'apprendere nuovi passi e nuovi stili di danza. Eravamo curiosi di tutto e così abbiamo provato di tutto: jazz, classico, contemporaneo, hip hop. Più ci facevamo grandi e più le sfide si complicavano. Non era solo la capacità di organizzare al meglio il tempo libero, ma anche quello di riuscire ad affrontare meglio la sfida del saggio. Salire su un palco, affrontare l'ansia del pubblico, ricordare la coreografia, andare a tempo ed essere espressivi. Ricordavo tutto questo mentre riordinavo i vecchi costumi dalla soffitta e li catalogavo. C'erano tutti: i grandi tutù vaporosi con le scarpette a punta, le tutine attillate del contemporaneo, le magliette larghe di hip hop, tutti gli accessori e gli oggetti di scena usati negli anni. Ognuno mi riportava indietro nel tempo. Sorridevo nel ricordare i momenti passati e i balletti per cui avevo indossato i costumi che ora tenevo in mano. Ogni stoffa o tulle che mi passava tra le dita, rievocava in me ogni emozione vissuta assieme, tutte le paure e le grandi gioie che hanno ricamato quegli anni tra la fanciullezza e adolescenza.
Una volta radunati tutti i costumi di scena, ho deciso di portarli alla vecchia scuola di danza, affinché potessero essere riutilizzati nuovamente da altre giovani ballerine come ero stata io. Nel ritornare tra quelle mura, mi sono sentita nuovamente a casa. Le grandi foto appese, non raccontavano solo la storia della scuola; ma anche quella mia e di mio fratello, cresciuti assieme ad essa. Per me, un tuffo al cuore. Le facce sorridenti delle foto, così come i visi felici e sudati delle piccole ballerine che mi scorrazzavano attorno, mi emozionò tremendamente. Dopo tutti gli anni passati nel contesto di cura, circondata dal dolore e dalla malattia, quel contesto così caro al mio cuore e diverso dalla mia ultima quotidianità, mi ha portato a riflettere. Riflettere sull'importanza di circondarsi anche di bello, di gioia e di entusiasmo. Qualcosa di cui avevo davvero bisogno. Nel vedere tutti quei gruppi che si alternavano nelle varie classi di danza ho iniziato a percepire l'impulso di gettarmi in sala, il corpo mi prudeva tutto supplicandomi di potersi librare ancora una volta a ritmo di musica ed emozioni, in quel contesto così famigliare. E l'ho fatto. In poco tempo abbiamo ricostituito il vecchio gruppo di danza, tutti ormai adulti e con le proprie vite definite, ma con ancora il desiderio forte di ballare. Anche solo per il piacere di farlo e passare del tempo assieme, come una volta. Ci siamo salutati calorosamente, tra abbracci e grandi sorrisi. Come se niente fosse mai cambiato davvero. Così attraverso la danza e quel gruppo con cui avevo condiviso così tanto, ho trovato un po' di sollievo e sfogo a tutta la confusione degli ultimi mesi. Ad ogni passo, abbandonavo le pesanti zavorre che mi accompagnavano, ritrovando fiato ed entusiasmo. Per questo non ho visto l'ora di accettare la proposta di poter aiutare la scuola nel momento del saggio di fine anno. Anche se, stavolta, da dietro le quinte.
Nell'aiutare le giovani ballerine nel trucco e parrucco, rivivevo i momenti di gioia e attesa passata. Percepivo l'emozione di ognuna di esse nel prepararsi allo spettacolo. Davanti alla loro comprensibile agitazione, le rassicuravo invitandole a divertirsi. "È il vostro momento, dovete fare quello che avete fatto finora, quello che amate e vi diverte tanto: ballare!". Tutto procedeva bene e secondo i piani, almeno fino a quando non ho visto scendere dalle quinte, la piccola Elisabetta in lacrime. "Ho sbagliato tutto!" singhiozzava sconvolta. Mi dispiaceva vederla tanto abbattuta, con il viso paonazzo e gli occhi bagnati di lacrime; ma capivo il senso di frustrazione e delusione nel vedere il duro lavoro di un anno rischiare di perdersi dietro un solo errore. "Ti sei fermata? O hai continuato a ballare nonostante lo sbaglio?", le chiesi guardandola negli occhi lucidi. "Sono andata avanti, ma ho comunque sbagliato!". Le ho sorriso e asciugato le lacrime che le solcavano ancora il suo viso arrossato. "Allora sei già stata bravissima, Elisabetta! Gli errori capitano, nella danza così come nella vita, ma è la nostra capacità di continuare ad andare avanti la vera vittoria. Ora arriva la parte difficile Eli, perché il saggio non è ancora finito. Respira profondamente e finisci col botto, fai vedere a tutti che brava che sei. Mostra quanta forza hai nel non abbatterti mai, nonostante possano capitare errori!". Il fuoco le si accese nelle grandi pupille e si diresse decisa verso le quinte. Nell'attesa per la fine del loro balletto, l'agitazione vibrava anche in me. Rimasi con il fiato sospeso fino al loro rientro in camerino, accompagnato da un boato di felicità e grida, anche e soprattutto da Elisabetta. "Allora?" chiesi sorridente "Ho finito col botto!!", gli occhi ancora lucidi di emozione.
In quel momento mi è stato chiaro quanto tutto questo non sia mai stato "solo" danza per me, ma decisamente di più. Tutti quegli anni dedicati a questa meravigliosa disciplina artistica, mi hanno saputo insegnare tante cose: sul mio corpo, sulle mie emozioni e su me stessa. La danza ha da sempre riassunto molto di più di uno sport o di un’arte fine a se stessa, ha rappresentato la fratellanza con Enrico, l'amicizia con ogni compagno conosciuto nel tragitto, il coraggio di affrontare pubblici sempre nuovi e diversi, il timore di sbagliare i passi e la grinta di provare a fare sempre meglio. Forse è per questo che ne ho sentito tanto la mancanza, forse è per questo che ho ripreso a ballare in fin dei conti… per tornare a gustare quella felicità vera ed emozionante che solo qualcosa che ami, riesce a regalarti.