Siamo tutti soli con il nostro dolore
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BUON ASCOLTO!
È qualche bel mese che sto navigando la rete web a bordo del mio vascello della gentilezza. Mesi in cui, non solo mi sono sperimentata continuamente, ma dove ho anche potuto osservare molto: il mio sport preferito in assoluto. Amo osservare le persone che mi circondano. Perché ogni persona è un porto a sé, in cui il mio vascello indugia per riflettere sulla vita e la natura umana. C'è stata una cosa però che mi ha colpito immediatamente in questo viaggio: tantissima gente soffre.
Ho constatato che tantissima gente soffre ogni giorno; ma soprattutto la maggior parte di essa è fermamente convinta di essere la sola a soffrire in questo mondo. E non fanno questo per tracotanza o senso di primato su tutti gli altri, ma perché non riescono a vedere altro. Quando siamo immersi nel nostro dolore, ci rinchiudiamo in noi stessi all'interno di un buco nero, da cui poi è difficile uscire. Anzi, l'unica cosa che vediamo è quello che sentiamo di non avere: il benessere. Una felicità che sembra appartenere sempre agli altri. La ricetta per peggiorare il senso di sconfitta che portiamo dentro e che non ci permette di uscire dalla voragine che sembra averci inglobato. Credo che questo sia uno dei motivi che mi ha spinto a creare il "Progetto Gentilezza", in fin dei conti. Non solo per trasmettere valori che sento si siano un po' persi per strada ultimamente, ma anche per ricordare alle persone che non si è poi gli unici a soffrire. Che se alziamo leggermente la testa, dalla nostra trincea, potremmo scorgere quante altre persone intorno a noi siano nella stessa situazione. Trincerati in quelle voragini di dolore che ci impongono ad una guerra di resistenza, ma da soli. Soffrendo in solitudine e soffrendo la solitudine.
Parlo di Pietro, Diego, Marika, Debora, Federica e tanti altri che ogni giorno vengono a raccontarsi nel gruppo. In cerca di quel briciolo di umanità che non riescono più a scorgere nella loro vita. A trovare altre persone che si sentono soli come loro e condividerne il dolore, ma anche la gioia dei piccoli passi in avanti, delle consapevolezze sviluppate assieme e l'amore del donarsi a sconosciuti. Persone tanto distanti tra loro eppure così vicine alle loro sofferenze, da riuscire a mitigarle. Anche se in minima parte. Anche se solo per poco: per il tempo di uno scambio di messaggi. Da lì nasce tutto, rendersi conto che non si è soli in fin dei conti. Anche se la realtà ti spinge a credere così. Ed è questa la forza capace di cambiare tutto. La forza di alzare per un attimo la testa dal nostro buco e guardarsi attorno.
Questo è quello che ho imparato nei miei anni da infermiera alla fine. È come se non solo avessi alzato la testa dalla mia piccola trincea, ma mi fossi proprio alzata in piedi. Da lì, passeggiando per questo sterminato campo traforato; li ho visti, tutti ripiegati su loro stessi. Ho visto il dolore di tutti che li sedeva forzatamente nei loro buchi nel terreno. Credo sia iniziata lì, la mia rivoluzione. Nel tendere la mano a questi corpi tremanti che punteggiavano la terra. Uno alla volta. A sorridere loro mentre li aiutavo ad uscire da quella tana di dolore, per mostrargli quanto poco servisse per stare meglio: una piccola azione altruistica per noi stessi e per gli altri. La consapevolezza che nel mondo c'è molto di più, basta solo alzare la testa dalla nostra limitata realtà. E così, piano piano, una mano dopo l'altra, tra sorrisi pacche sulle spalle e abbracci stretti, non mi sono più trovata sola nella mia rivoluzione. Le persone che avevo aiutato ad uscire dalle loro trincee, avevano iniziato a fare lo stesso, con il loro vicino di buco. In un circolo virtuoso. Sollevando e supportando il prossimo nel rimettersi in piedi, dopo mesi o anni vissuti rannicchiati dentro quella voragine di dolore e sconforto.
È di questo che si parla nel gruppo Telegram che ho creato appositamente: delle proprie trincee di dolore. Senza paura del giudizio, ma in totale libertà d'espressione. E proprio lì, arriva quella mano immaginaria che si tende per aiutarti ad alzarti in piedi. A vedere il tuo buco da un'altra angolazione e vedere in quanti abbiano vissuto o stiano ancora vivendo, il dolore. Solo così può iniziare il processo di guarigione. Un po' alla volta e con l'aiuto di tutte queste persone, si iniziano a chiudere questi buchi. A coprirli di terra, tra una risata o una lacrima che sia. E ci si prende per mano per perseguire ognuno poi il proprio cammino, senza la paura di ricadere nuovamente nella voragine, ma aiutando il prossimo che incrocerà la nostra strada; perso e solo nella sua buca. A tendere loro la mano, come altri prima, hanno fatto con noi.
Ho imparato quanta forza e potenza ci sia, nella condivisione. Una cosa che sembra essere sempre più rara. Le persone hanno tanta voglia di parlare e connettersi con gli altri, ma sembra che manchino loro, le parole per farlo. Per questo li vedi vagare solitari e silenziosi, persi nel loro mondo. Ed è in quel mondo che rischiano di non trovarsi più, se non hanno con chi interfacciarsi e confrontarsi. Dai bambini agli adolescenti, dagli adulti agli anziani. Siamo esseri umani che necessitano di socialità, di incontro e confronto. Ora e sempre.
Riappropriamoci della parola e del dialogo. Riconnettiamoci con i nostri vicini di trincea. Aiutiamoci a vedere il nostro mondo da altre angolazioni. Perché tutti soffriamo e se ci ascoltassimo di più, non saremo più soli nel nostro dolore.