Presta le emozioni che sai puoi regalare
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BUON ASCOLTO!
Mi hanno chiesto "Lisa, cosa significa dare troppo?" all'interno della mia community. Ed è bastata questa semplice frase per riportarmi indietro nel tempo. A una giornata plumbea in centro città. In un giorno di primavera freddo e uggioso. Quando io e Biljana andammo a Verona per goderci un po' di tempo di qualità assieme.
Biljana è un'amica e collega di mia madre, che ho avuto il piacere di conoscere in questi anni. Biljana è originaria della Bosnia, figlia di una famiglia altolocata della ex Jugoslavia. Nella sua vita ha sperimentato le difficoltà di crescere nel pieno dei conflitti secessionisti e delle guerre civili che portarono alla dissoluzione dello stato Bosniaco, per come lo aveva conosciuto nella sua infanzia. Biljana mi racconta spesso alcuni flashback di quegli anni, dove la confusione, la fame, l'incertezza e l'odio ne facevano da padrone. Anche in quelle famiglie, che non penseresti mai ne siano colpite così tanto. Eppure, una cosa Biljana sottolinea sempre: la guerra, quando viene, non guarda in faccia a nessuno e ferisce tutti, indipendentemente dal rango sociale. Rimango sempre colpita dai suoi racconti e mi incanto a sentirla parlare del suo passato e della sua famiglia. Ogni volta che mi immergo nella sua storia, conosco meglio Biljana e capisco un po' di più da dove derivi il suo carattere così forte e determinato. Ma Biljana è anche tanto altro. Per questo adoro confrontarmi a voce con lei perché il suo, è un punto di vista stimolante. Biljana riunisce in sé il pensiero analitico da ingegnere ad una sensibilità acuta di osservazione e curiosità. Un mix esplosivo ed innovativo, come è lei. Per questo non ho visto l'ora di trascorrerci del tempo assieme, quella mattina uggiosa.
La città era invasa dai lavori, quel giorno: era tutto un cantiere a cielo aperto. Ben presto io e Biljana ci siamo trovate a zigzagare per le stradine del centro in modo da evitare i cantieri e cercare nel contempo un bar per fare colazione. Tra una risate e l'altra inciampiamo distrattamente davanti una delle tante dimore storiche che popolano Verona, entrambe rapite da quella storia che sembra permeare ogni sasso, ferro o vetro che compone queste case. "Amo osservare le case antiche, sai? Mi piace immaginare la storia delle famiglie che le hanno vissute. L'idea che queste mura abbiano visto passare tante persone e tante storie mi affascina" dico mentre Biljana ride. Tende il lungo braccio sulle mie spalle e mi rimbecca: "Ma quanto siamo simili?! Penso sempre la stessa cosa anche io". Lo sciabordio del fiume fa da gradevole sottofondo alla nostra passeggiata e dopo aver osservato qualche bella casa, troviamo il piccolo bar in cui fermarci.
All'interno del piccolo ma accogliente baretto, le brioche si alternano in un arcobaleno di colori e sapori. Ordiniamo al bancone due cappuccini e due brioche prima di sederci al tavolino. Parliamo del mio progetto online. Biljana sa darmi sempre spunti di riflessioni interessanti, per questo mi risulta semplice raccontarle tutte le mie idee. Si dimostra entusiasta della mia decisione di sperimentare e non si riserva di sciorinare consigli e premure. Una volta uscite dal bar, si immerge nella grande borsa alla ricerca di una sigaretta. "Raccontami" mi dice "Perché questo cambio?". Inizio a parlare a ruota libera su di me e sulle emozioni di questi mesi. Parlo di Arco e del mio passato da infermiera, il burnout e la scelta di dimettermi. Le spiego la mia passione per la crescita personale e il mio desiderio di raccontarmi e raccontare le mie emozioni. Tutto quel mondo di sentimenti che si agitano confusionari nel mio petto e che trovano un senso nella parola scritta e nei racconti che amo poi leggere. Biljana guarda il cielo coperto e sbuffa il fumo della sigaretta stretta tra le dita. "Ti sei mai chiesta cosa è cambiato?" mi chiede guardandomi, quasi riuscisse a leggermi dentro. "Io sono cambiata, non riuscivo più a dare nulla come infermiera. Ero spenta. Non potevo continuare quell'ipocrisia" le dico sostenendo il suo sguardo. Tace per un secondo, mentre aspira un'altra boccata della sigaretta. "Mio padre diceva sempre di prestare i soldi che si sa si possono regalare" riprende Biljana, tra il fumo di sigaretta che aleggia tutt'intorno "Come con le emozioni, aggiungo sempre io", conclude ridendo. Anche se è primavera, fuori non c'è ancora caldo, anzi… guardo l'ombrello tra le mani, che ho portato per paura di qualche rovescio. Mi fermo a riflettere su queste parole e Biljana mi guarda nuovamente con i suoi occhi indagatori. "È una questione di autopreservazione, Lisa". Colgo l'antifona di quelle parole. Biljana era di nuovo riuscita a mostrarmi tutto da un'angolazione diversa. Le sorrido. "Mi sono spinta oltre, nel dare. E ho finito per rimetterci.". Biljana mi sorride. "Non è sempre un male sbagliare, ci permette di raddrizzare il tiro. Sbaglia solo chi non cambia mai. Vedila così, ora puoi raccontarlo e aiutare altri a non commettere lo stesso errore". Le sue parole mi aleggiano attorno, come il fumo pungente della sigaretta di Biljana.
"Sbaglia solo chi non cambia mai".
Ci alziamo dalla panchina, su cui ci eravamo sedute e proseguiamo la nostra camminata. Camminiamo vicine, con le spalle che si sfiorano. Biljana è alta quanto me. Mia mamma dice sempre che potrei passare per sua figlia e in effetti, molti mi hanno scambiata per tale quella mattina. Rivedo molto di me in Biljana e lei altrettanto. Così tanto da avere nei miei confronti un senso protettivo, da sorella maggiore. Parla a me come se parlasse alla se stessa di qualche anno fa. Mi incoraggia e sprona come se i miei sogni fossero anche i suoi, senza riserve. Le ore passano veloci ed è già ora di tornare alla macchina. Tornando verso casa, guardo il paesaggio che scorre nel finestrino del passeggero. Mi sembra di guardare a quelle immagini riflesse come guardassi al mio passato, mentre le parole di Biljana riecheggiano nella mia testa e nel mio cuore. Sapevo di dovermi assumere la responsabilità di tutto quello che è stato, non dando la colpa unicamente a quel sistema sanitario ormai dissanguato, per come io avevo vissuto gli ultimi anni. La responsabilità era anche la mia di non aver saputo proteggermi dal dare più di quello che "potevo regalare". È su questo che ho deciso di lavorare, di rientro da Verona. Sulla definizione di quei limiti che possano aiutarmi dal preservarmi dal burnout lavorativo o emotivo che sia. Non è sbagliato dare, è sbagliato dare "troppo", quando quel "troppo" compromette il nostro benessere personale. La nostra felicità. Il nostro io. Perché se è vero che dare è un dono meraviglioso, non bisogna mai dimenticare quanto male può farci non sapere definirne un limite. E quel limite lo stabiliamo noi in ogni giorno della nostra vita.