Le ragazze del cremino
DI SEGUITO TROVI LA LETTURA, IN FORMATO AUDIO, DELL’ARTICOLO.
BUON ASCOLTO!
Ottobre ormai è iniziato eppure sembra che l'aria frizzante dell'estate non sia pronta ad abbandonarci ancora. Poco male, mi piace questo tempo mite. Caldo il giusto, freddo quanto basta. Come le dosi spanno metriche di una ricetta della nonna. Non c'è da stupirsi quindi se preferisco ancora il gelato ad una bevanda calda; una coccola gustosa, fresca e piacevole per questa calura Ottobrina. È in uno di questi momenti di estasi culinaria che mi sono ricordata di quando, ancora bambina, guardassi sempre indecisa il grande tabellone dei gelati con un unico dogma in testa "prendi il gelato più grande possibile". L'unico vero parametro di abbondanza a cui attenersi nella mia testa, l'unico davvero importante per gustarsi totalmente quella prelibatezza e approfittare dell'occasione d'oro di poter mangiare un gelato.
Sono sempre stata una bambina a dieta, fin dalla più tenera età infatti ho palesato dei connotati "grandi" e no, non parlo delle famose "ossa grosse" ma piuttosto delle "ossa lunghe". Sono sempre stata una bambina tra le più alte della scuola, se non la più alta; almeno della mia classe. In prima elementare ero della stessa altezza di mio fratello maggiore che frequentava la quarta e possedevo il doppio della sua fame. Una fame vorace, quasi primordiale: come se dovessi ancora competere per il cibo e la mia sopravvivenza. Il cibo per me ha sempre rappresentato una sfida in questo senso, un'ambivalenza di amore e odio indotto. Sì perché io amavo mangiare e mangiare tanto ma erano gli "effetti avversi" a creare problemi. Problemi che erano sempre molto evidenti ai miei occhi e che sfilavano giornalmente davanti a me, mia mamma non faceva che ricordarmelo. Io non potevo permettermi di mangiare tanto e invidiavo tanto chi aveva questa possibilità, ma non ne approfittava. Come le "ragazze del cremino". Una categoria per me mitologica, quelle ragazze che davanti il suddetto tabellone dei gelati e alla sua vasta scelta, chiedevano l'inconsistenza del cremino o peggio ancora del ghiacciolo. Per me un qualcosa di inimmaginabile. "Che soddisfazione ti dà un Cremino?" va bene solo se hai 3 anni, perché in proporzione a te è un gelato grande. Quando cominci ad averne 8-9 è un assaggio del gelato che vorresti mangiare, non la tua scelta finale. Non poteva essere possibile. Queste "ragazze del Cremino" rappresentavano la mia aspirazione di bambina, il raggiungimento di un'ideale di fame e fisico che speravo ardentemente di conquistare un giorno. Nella mia testa di bambina, l'archetipo della "ragazza del Cremino" è la ragazza slanciata, con gambe toniche e snelle, pancia piatta e poca fame. Tutto quello che io non avevo e desideravo all'epoca. Un inganno in cui cadono molte bambine, ma anche ragazze e donne adulte. L'idealizzazione del fisico perfetto. Come se bastasse questo a risolvere ogni cosa nella vita, anche la scelta del gelato.
Avere fame per me ha sempre rappresentato una colpa e una trappola da cui mi sembrava impossibile liberarmi. Questa ossessione alla morigeratezza instillata da mia mamma basava su fondamenta troppo inconsistenti e orientate all'apparenza. Non dovevo mangiare perché ingrassavo. Se ingrassavo non mi sarei piaciuta allo specchio e non sarei piaciuta agli altri. Un terrore che non mi aiutava a capire perché mangiare troppo non andasse bene, ma che mi spingeva a nascondermi per evitare la gogna sociale. A guardare di fatto alle "ragazze del Cremino" e invidiarle sì, mentre accettavo il piatto enorme di pasta che mia nonna mi rifilava e a strafogarmi finché ne avevo la possibilità, per poi trovarmi a stare male e vomitare perché avevo fatto indigestione. Perché era questo che accadeva: ogni occasione buona per mangiare andava colta a mani piene, erano attimi di libertà per me da cogliere assolutamente, anche a costo di stare male. Così anche la scelta del gelato doveva essere oculata e mirata al risultato più soddisfacente per il mio palato, il mio stomaco e la mia fame.
Ciò nonostante le "ragazze del Cremino" si palesavano nella mia vita continuamente, soprattutto d'estate, ricordandomi quanto io fossi sbagliata in paragone a loro e a tutti gli altri. Come l'inganno della macchina gialla, una volta che inizi a pensarci ti ritroverai circondata da macchine gialle. Eppure questo non mi ha mai fermato dal prendere il gelato più grande possibile sia chiaro, aumentava solo la frustrazione e il senso di rifiuto che io provavo per il mio corpo e la mia maledetta fame una volta finito quel gelato. Un circolo vizioso che andava solo ad alimentare le mie insicurezze e minare la mia felicità. Questo perché credevo che la chiave della felicità fosse tutta lì: avere un fisico e una fame perfette. Una lotta che spesso rischia di trasformarsi in una ossessione prima e in una malattia poi, soprattutto nelle persone più fragili. Persone troppo concentrate all'apparenza, invece che alla salute del proprio corpo e della propria mente.
Perché è questo che dobbiamo trasmettere: che mangiare è un atto di amore e nutrimento del nostro corpo e della nostra mente, così come l'allenamento serve per mantenere ossa, tendini e muscoli in salute. Il benessere dovrebbe essere la nostra aspirazione più grande, il valore da trasmettere ai nostri bambini. Tutto quello che facciamo, anche mangiare con moderazione, non deve essere per apparenza o per soddisfare le aspettative altrui ma per l'amore e il rispetto che proviamo per noi stessi e il nostro corpo. Sono questi gli elementi che dovremmo tenere a mente e trasmettere a chi amiamo.
Quindi che fine ha fatto la piccola Lisa ossessionata dalla fame e dal gelato più grande del tabellone? È cresciuta e ha iniziato ad indagare la sua fame. Ha iniziato ad ascoltare di più il suo corpo, cercando di assaporare maggiormente il momento del pasto. Non c'è fretta di procacciarsi cibo, non c'è gara d'apparenza. Mangio prestando attenzione alle risposte del mio corpo. Uso il cibo come energizzante del corpo e piacere di condivisione. Mi impegno a non appesantirlo dandogli troppo da digerire. Non aspetto che lo stomaco arrivi a tendersi perché sovra alimentato come capitava da piccolina, ma ho imparato a fermarmi quell'attimo prima di sentire il fastidio e il male. Perché il corpo è mio, ne sono responsabile. Sono responsabile di mantenerlo in salute, passando anche dal cibo. Il cibo è diventato mio alleato e amico, sa viziarmi ma prima di tutto voglio che mi nutra. Sono io che decido ora, non la fame.
Ci sono voluti anni per abbattere quel muro di credenze che mi portava a sentirmi in colpa per quello che mangiavo e per quanto ne mangiavo. Ho impiegato tempo a rieducare quella mia bambina interiore super affamata, spiegandole che la fame è una richiesta di energia del corpo che devo imparare a gestire io. Se carico troppo, la batteria si fonderà e non funzionerà più perché starà male. Se carico troppo poco, l'energia non sarà sufficiente a superare la giornata. Va caricata il giusto, quello che faccia felice lo stomaco ma che soprattutto arrivi a darmi tutta l'energia che mi serve per affrontare la giornata.
Niente arriva maggiormente di un messaggio di amore, quindi smettiamo di insegnare l'odio per il proprio fisico e le proprie caratteristiche. Iniziamo invece a spiegare come alcune di queste caratteristiche possano essere migliorate sì ma per aiutarci a rispettare meglio noi stesse e il nostro corpo. Non solo perché ce lo dobbiamo, ma perché ce lo meritiamo.