La paura di scomparire
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Da che nasciamo siamo legati imprescindibilmente alla validazione esterna. Quella dei genitori, inizialmente. Quella dei pari, successivamente. Come se, senza un vero riconoscimento da parte dell'altro, smettessimo di esistere. Così, di punto in bianco.
"Non so fare altro che questo, Lisa. Ho paura di scomparire, se smetto di dare agli altri. Come se il mio valore, la mia intera esistenza, si basasse su questo."
Guardavo con orrore a queste parole, mentre Lucia mi esternava tutto il suo malessere. Ero incapace di credere che una persona come lei, potesse anche solo pensare questo. Lucia è una donna straordinaria, capace di fare l'impossibile per gli altri, ma mai per se stessa. Come se la sua ragione d'essere e il suo valore tutto fosse poggiato su un piano traballante, eretto da un unico piedistallo ormai tarmato, creato dal dare sempre tanto tutto e solo… agli altri. Mi chiedevo come potesse una persona così piena di risorse, non riuscire ad utilizzarle per salvare se stessa. Non riuscire soprattutto a vedere quelle qualità che erano così palesi agli occhi di tutti, ma a quanto pare non ai suoi. Un errore che anche io, come Lucia, perpetuavo ogni giorno fino a non tanto tempo fa. Vivevo giornalmente con una spasmodica ricerca della validazione esterna, per non solo confermare pensieri ed azioni, ma per confermare me stessa come persona degna d'esistere, degna d'essere amata probabilmente. Ma amata da chi?
Perché questo è il nodo della questione, un nodo che in molti portano dentro e che sono incapaci di sciogliere. Un ingranaggio che all'epoca sentivo bloccato nelle viscere delle mia anima e che non mi permetteva di essere appieno me stessa con gli altri. O meglio mi permetteva di apparire solo come la mia storia personale mi aveva spinto a diventare, modellata su quelle opinioni che per me erano tutto ma non mi permettevano di esternare il “mio tutto”. Perché sentivo che Lisa aveva una storia più grande e articolata da raccontare e che quella definizione di me stessa che mi era stata data, non bastava più. Come un vestito diventato troppo stretto e corto d'improvviso, non solo mi faceva sentire inadatta, ma anche a disagio. La mia anima ardeva dal desiderio di trovare un abito nuovo, fatto su misura su un corpo ormai cresciuto e trasformato in corpo di donna, abbandonando il vecchio taglio sartoriale infantile che si era fatto logoro col tempo. Perché tutto dentro di me era fermo a quel tempo fanciullesco, che stonava con la realtà presente che vivevo. Mi ricordo ancora quando arrivai a prenderne consapevolezza: è stato come prendere fiato dopo un momento di apnea. Un respiro profondo, ingordo. Vitale.
Quel ritorno alla vita mi ha spinto con una curiosità quasi ossessiva a ricercare me stessa, per come volevo essere nella mia interezza. Senza interferenze esterne che mi convincessero che fossi sulla strada giusta, perché finalmente la strada me la stavo costruendo io per come la volevo e la desideravo. E me ne assumevo la completa responsabilità, smettendo di delegare agli altri ogni aspetto della mia vita. Smettendo di ricercare tutto fuori da me: validazione, responsabilità, progettualità… amore. Fuori non c'era nulla che non avessi già dentro, che non avessi inconsapevolmente nascosto in qualche piega della mia anima tra le mie mille capacità che mi rifiutavo di vedere e apprezzare. Che supplicavo agli altri di darmi, ignorando quanto dentro di me si agitasse per regalarmele gratuitamente e in abbondanza. Ho iniziato a tacere il caos esterno, per ascoltare quella voce interiore che mi chiedeva attenzione e cura, quella che mi obbligavo a dare sempre e solo fuori di me, a tutti gli altri. E ho iniziato a dare tutto a me stessa.
Ho capito di essere sulla strada giusta quando ho visto che non tutti erano d'accordo con me, che non tutti si sforzavano di capire il mio cambiamento e a me, finalmente, non importava più. Non m'importava più di compiacere tutti in tutto. Non mi importava di perdere qualcuno se questo significava iniziare ad amare meglio me stessa. Se questo mi portava ad avere più rispetto dei miei bisogni e desideri, perché ora anche loro avevano un posto sulla mia bilancia della vita. Un atto di ribellione della me bambina che non doveva più annullarsi per esistere. Non solo non doveva più solamente dare, ma poteva anche chiedere e ne aveva il sacrosanto diritto. Ho scoperto che io potevo esistere a prescindere dagli altri. Esistevo, punto. Senza condizioni o limitazioni.
Ho scoperto che l'unica persona che dovevo convincere ad amarmi, ero io. Non gli altri. Gli altri lo avrebbero fatto di riflesso, una volta che lo avessi sperimentato io per prima con me stessa. Tutto iniziava e finiva lì, dentro di me. Solo in me. Perché non è vero che non ne siamo capaci, perché noi sappiamo amare ma amiamo sempre e solo gli altri ed è questo che insegniamo a tutti, col nostro comportamento abnegante: che ci va bene così. Quando non è vero. Non può essere vero, dal momento che ne soffriamo. Quindi sforziamoci di fare meglio, sforziamoci di assumerci la responsabilità che ci compete sulla nostra felicità. Perché non solo lo meritiamo, ma perché se non lo facciamo noi per primi, nessuno se ne farà carico per noi.