Casa è dove lasci il cuore
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BUON ASCOLTO!
Erano mesi che non tornavo ad Arco, il luogo che ho chiamato casa per quasi 4 anni. Poi, settimana scorsa, l'invito alla festa estiva di reparto. Un vocale WhatsApp a cui non si poteva dire no. La dottoressa del vocale in questione, è imbattibile a persuadere le persone; ricordo che la chiamavamo "la scheggia dei ricoveri", perché riusciva a trovare posto in qualsiasi reparto ad una velocità impressionante, per quasi tutti i suoi pazienti. Era capace di convincere anche il più restio dei colleghi medici. Ho ritrovato lo stesso smalto dell'epoca, nell'invitarmi alla festa. "Lisa non puoi mancare! Chiama Elena e vi aspetto giovedì sera alle 18.30". Più che un invito, un ordine. Che fai, non accetti?
Nel viaggio in macchina che ci separava da Arco, io ed Elena ci perdiamo nei ricordi e negli aneddoti divertenti di quegli anni vissuti assieme. Ricordiamo la nostra convivenza, il periodo del Covid, gli scherzi con i colleghi e le feste quelle belle; quelle che solo con loro riuscivamo ad organizzare. Ritornare nei luoghi che per anni abbiamo vissuto quotidianamente sa di dolcezza. Tranne il traffico, ecco quello magari non ci mancava così tanto. Arco, come tutte le cittadine turistiche del lago di Garda, è estremamente visitata d'estate e muoversi è sempre un'impresa; richiede la pazienza di Budda. Per fortuna, ricordiamo ancora qualche stradina secondaria che ci permette di eludere il traffico più intenso. Per quanto abbiamo vissuto la cittadina di Arco così come i paesi limitrofi, la festa di oggi si tiene in un luogo per noi nuovo e mi sembra, per un attimo, di tornare indietro nel tempo quando novellina mi trovavo a girovagare per quella cittadina tutta nuova ai miei occhi. La stradina sterrata è stretta e immersa nelle campagne, Elena ed io sorridiamo: speriamo di non esserci perse! Svoltato l'angolo un ragazzo ci sorride ad un cancello aperto e ci indica dove parcheggiare. Tutt'intorno persone vestite in tenuta sportiva, io ed Elena eleganti nei nostri vestiti che la dottoressa in questione definirebbe da "vigliacche", ridiamo: "Le cittadine sono arrivate!".
Ho sempre definito il Trentino la "patria degli sportivi", perché non solo gli abitanti sono abituati a destreggiarsi tra mille sport, ma perché sembra che tutti abbiano un patto segreto con le società di indumenti sportivi, un tacito accordo per indossare tenute sportive a mo' di divisa. Stonavo sempre con i miei abiti vaporosi e ricercati che mamma mi aveva insegnato ad amare. Cosa che poi, alla fine, è diventato un mio segno distintivo agli occhi dei miei colleghi. Arrivati al luogo di incontro mi perdo ad osservare ciò che mi circonda: grandi alberi decorati con piccole lucine calde circondano ampi tavoli e futon stesi a terra, in un ambiente che grida armonia. La dottoressa in questione è già presente, presa con gli ultimi dettagli organizzativi, appena ci vede scatta l'abbraccio. Ridiamo e chiacchieriamo, aggiornandoci sugli ultimi sviluppi della nostra vita. L'atmosfera è calda e rilassata, il sole piano piano inizia a scendere. Mi incanto ad osservare i profili delle montagne che abbracciano la "busa" e che si ergono come un'imponente fortificazione tutt'attorno. Lì o ti senti protetto o hai la claustrofobia. E io lì mi sono sempre sentita a casa. Il vento fresco del lago ci accarezza le spalle scoperte e dà quel piacevole brividino alla pelle. La bellezza della natura mista a musica e risate mi avvolge completamente.
Verso le 20 cominciano ad arrivare gli ex colleghi di reparto, per alcuni la nostra presenza è una vera sorpresa. Sorrido, salto, grido e mi abbandono a mille abbracci. Li ritrovo tutti, belli come li avevo lasciati. La sintonia è sempre quella e ci muoviamo con una naturalezza autentica, come se non fosse passato un giorno da che lavoravamo assieme. Mangiamo e beviamo condividendo ciotole di patatine fritte. Trovo lo stesso Antonio, che mi sorride e ammicca sornione con il suo fare da latin lover; Valentina che mi abbraccia stretta e mi chiede quando andiamo al lago assieme; Giuseppe che per non sbagliare mi abbraccia due volte di fila; Simone che come sempre mi spalleggia tra mille battute e Oscar che non sa fingere quanto io gli sia mancata. Mi abbandono a tutta questa normalità che mi era mancata, ritrovando il mio posto in mezzo a loro. Nulla sembra essere cambiato da quando me ne sono andata via. Una dolce consapevolezza nel cuore: se fosse stato per tutti loro, non me ne sarei andata mai.
La festa continua con l'uscire delle stelle. La musica dal vivo fa da vibrante sottofondo ai nostri balli scatenati, tutti sudati e sorridenti cantando a squarciagola le più belle canzoni di sempre. Siamo totalmente a nostro agio a muoverci anche scomposti e sgraziati, perché ci strappa sempre sonore risate. Antonio balla con ogni donzella gli capita a tiro, io ed Elena piroettiamo a turno tra le sue braccia come un tempo, sorridendo di felicità. Da qualche angolo nascosto escono collane hawaiane che iniziano a circondare i nostri colli nudi e appiccicaticci. Non può mancare la foto di rito, richiamo tutti e ci stringiamo sorridenti. Continuiamo a ballare per 2 ore piene fino a che Elena richiama la mia attenzione: era ora per noi Cenerentole di tornare verso casa. Il tempo è volato e con un altro giro di abbracci stretti e affettuosi, salutiamo nuovamente tutta quella sfilza di visi sorridenti impressi nel nostro cuore.
Nel viaggio di ritorno Elena ed io ripercorriamo la serata, come a fissare le immagine vissute nella memoria e per essere sicure di averle vissute realmente. Non ci sembra possibile di aver sperimentato tutto quell'amore, come se niente fosse davvero cambiato. Di questo siamo sicure: nessun posto è come Arco. Nessun posto di lavoro ha lo stesso sapore di quel piccolo Pronto Soccorso di provincia. Perché sono le persone che lo abitano a renderlo speciale, ognuna nel suo unicum. Ci guardiamo sorridenti perché ci sentiamo speciali nel poter aver condiviso del tempo assieme a tutti loro, di aver condiviso una parte della loro storia che ora è anche la nostra. Perché, pur nei suoi difetti, quel luogo di lavoro è stato più di un semplice posto di lavoro.
Quel Pronto Soccorso è stato casa per noi, quando la nostra casa era lontana. È stato famiglia, quando il Covid c'ha obbligato all'isolamento. Infine è stato il nostro cuore, perché è lì che ne abbiamo lasciato un pezzo. Con ognuno di loro. Ed è sempre lì che rimarrà per sempre.