Ridi che ti passa
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BUON ASCOLTO!
Solo ora che sono su internet mi accorgo di quante paure io abbia. Come se Internet e il mondo dei social avessero la capacità di dilatare le paure e i dubbi a misura umana. Spettri di me stessa che, in ogni giorno ogni ora, mi fanno temere di compiere quel passo sbagliato. Quello scivolone sociale che mi sbatta pesantemente sul terreno. Bloccandomi nell'indolenza fisica, mentale ed emotiva. Una sensazione, questa, che ho provato spesso nella mia vita.
Ho passato la mia giovinezza con la sensazione di muovermi costantemente su gusci d'uova, un incedere terribile e sfiancante. Nel mio passato tutto poteva rappresentare una minaccia alla mia già fragile autostima, anche il più piccolo dei dettagli. Vivevo nella paura costante dell'imbarazzo, specialmente nelle occasioni sociali. Non passava minuto in cui non misurassi ogni gesto, parola o azione che compivo. Non vivevo per niente bene, ad esempio, quei momenti in cui si doveva mettere in pubblica piazza le proprie capacità; per questo non ho mai sopportato le sfide sportive o ludiche che fossero. Quelle attività in cui non riuscivo ad essere aggraziata, elegante o intelligente come volevo. Attività che puntualmente mi facevano sudare copiosamente, ma non tanto per l'attività in sé, quanto per l'ansia che mi trasmettevano. Non mi godevo mai nulla di quello che vivevo. Ne subivo solo l'imbarazzo. L'imbarazzo di sentirmi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. E quando l'imbarazzo prendeva il sopravvento, sprofondavo in me stessa e cercavo di diventare invisibile, desiderando solo di scomparire.
Non ho mai amato lo sport e forse neanche lo sport ha mai amato veramente me: svenivo ad ogni test di Cooper che ero obbligata a fare, prendevo sempre e solo e tante pallonate in faccia, anche in quegli sport che non prevedevano l'uso della palla e le mie avventure sugli scii hanno un che di mitologico per le mie amiche. Insomma, non una sportiva modello. La mia faccia paonazza , il fiato corto e i movimenti sgraziati non facevano che confermare il disagio che sentivo dentro. Ero così preoccupata a dare adito alle mie insicurezze che dimenticavo non solo di vivermi il momento, ma anche di pensare a divertirmi. Emblematica fu la mia prima volta al Bowling, avevo 14 anni. Date le premesse sportive, potevo solo che aspettarmi la figuraccia in agguato, ma il gioco mi sembrava così semplice che non pensavo che avrei potuto provocare danni. Scelta la pista e indossate le scarpe, attendevo con ansia il mio momento sotto i riflettori. Il sudore mi bagnava le mani, quando scelsi una palla totalmente a caso, spinta più dal colore che dalla reale esigenza di gioco. Partì convinta verso l'inizio della pista vera e propria, l'occhio puntato sull'obiettivo. Tutto il resto è storia, una meravigliosa e divertente storia, la palla scivolò dalla mia mano e prese, letteralmente, il volo. Su un'altra pista. Chiusa. Dall'altra parte della sala. Silenzio. Ricordo ancora lo sguardo di tutti addosso e l'esplosione di risa che seguirono. Chiusura di sipario. Io volevo scomparire, come gli attori dietro le tende del teatro. Magari smaterializzarmi lì sul posto. In un'altra dimensione. In una dimensione in cui poter sentire la mia dignità frantumata, ancora intatta. Ma non successe. Rimasi pietrificata, incapace di togliermi di dosso l'imbarazzo che mi infiammava le guance e le punte delle orecchie. Da quel giorno, più di prima, rifugii ogni occasione buona di mettermi in mostra. Perché passare inosservata era meglio che sentirmi messa alla berlina.
Chi non poteva non passare inosservata è Gessica, una mia cara amica. Bella, spontanea, dalla risata contagiosa. Di quelle risate così vere e sguaiate da influenzarti l'umore. Non si può essere tristi o pensierosi con Gessica. Con Gessica si ride. Tanto, forte, di gusto. Una caratteristica, questa, che ho sempre amato tanto in lei. Una caratteristica che le invidiavo, probabilmente. Perché con Gessica, non esiste imbarazzo. Con lei, ogni cosa sembra giusta, anche quella più insolita e fuori posto. Niente di quello che vivevo, in sua presenza, mi faceva sentire in imbarazzo o a disagio. Mai. Come se la sua aurea di spontaneità riuscisse a inglobare anche me e la mia fragile autostima. Agognavo quei momenti con Gessica, perché lei mi mostrava quell'indole così libera dai condizionamenti esterni, che mi faceva credere che ci sarebbe stata una possibilità anche per me. Stando con lei, credevo possibile la mia liberazione da quelle catene sociali autoimposte. Per questo l'osservavo sempre e molto. Osservavo i suoi gesti, come si muoveva sinuosa e armonica tra le persone, anche le più diverse. Gessica canalizzava l'attenzione per rifletterla ancora più energicamente. Mi ci è voluto un po' per capire cosa rendesse Gessica la meravigliosa persona che è. Cosa le desse quella tranquillità interiore di trovarsi anche nelle situazioni più impacciate e vincerle senza riserva. Gessica vinceva l'imbarazzo ridendo. Quella sua risata grassa e forte era il suo scudo contro ogni forma di disagio. Gessica sapeva ridere di se stessa, con se stessa e con gli altri. Un superpotere a me sconosciuto, fino ad allora. Un superpotere che ho scelto di fare mio col tempo.
Così ieri, tornata al Bowling dopo tanto tempo, in quello stesso posto che mi aveva fatto sprofondare dalla vergogna; ho trovato il mio riscatto. No, non ho vinto la partita; non sono diventata una campionessa d'improvviso. Le mie doti sportive non sono cambiate in questi anni, quella a cambiare sono stata io. Ho cambiato il mio atteggiamento alle situazioni: ho imparato a ridere io, per prima, di me stessa. E ridere di gusto. Come Gessica. Di quelle risate forti e piene, capaci di sciogliere il senso d'ansia, disagio o imbarazzo che sia. Una risata liberatoria. Una risata che gridi al mondo la bellezza dei miei limiti umani e sportivi. Non mi sono mai divertita tanto al Bowling, come ieri. D'un tratto mi sono trovata bambina. Ero curiosa di provare, di sfidare le mie capacità precarie e ridere dei miei goffi tentativi. E indovinate un po'? Sono addirittura stata brava. Sciolte le tensioni e libera di sperimentare, ho scoperto delle capacità sportive che non conoscevo e che mi hanno sorpresa.
Quindi, miei cari amici, non temete di sbagliare anche platealmente. Non temete di risultare goffi o impacciati. Non abbiate paura dei vostri meravigliosi limiti. Ma imparate a ridere di loro e di voi, imparate a farlo prima che lo possano fare gli altri. E ridetevela di gusto con tutto il cuore. Quel cuore che, finalmente, si sentirà libero di vivere serafico la sua bella e comica imperfezione.