Storie di abbracci
DI SEGUITO TROVI LA LETTURA, IN FORMATO AUDIO, DELL’ARTICOLO.
BUON ASCOLTO!
Se c'è una cosa che amo immensamente sono gli abbracci, amo la sensazione di vicinanza data dalla riduzione della prossemica, il profumo dell'altro che ti annebbia l'olfatto e la ritmicità sincrona di due cuori che si uniscono in un incrocio di braccia. Un abbraccio è un gesto d'amore universale ma al contempo intimo, adatto a tutti: amici, famigliari e partner che sia. Nell'abbraccio si condensano tantissime emozioni positive e per me rappresenta una ricarica di energia e buon umore: il mio segreto di felicità. Col tempo ho imparato che dietro ogni abbraccio dato e vissuto si nasconde una storia, un racconto a sé. Un racconto di amicizia, umanità, coraggio, crescita ma anche tanto altro. Ogni abbraccio a modo suo, ognuno con i suoi protagonisti. Quindi mettetevi comodi e rilassatevi, perché ora vi racconto le mie storie di abbracci.
Abbraccio come amicizia: la storia di Sofia. Ho conosciuto Sofia ai tempi dell'università, sulla banchina della stazione ferroviaria del mio paese, il primo giorno di lezioni. Sofia è da sempre allergica al contatto fisico e possiamo tranquillamente affermare che non abbia avuto molta fortuna nel sedersi affianco a me, abbracciatrice incallita. Per ogni cosa di cui avevo bisogno, era una mia invasione del suo spazio personale. Un momento le colpivo il braccio, un momento la gamba. Ero così concentrata nel seguire le lezioni che non mi accorgevo che ogni mia invasione di campo, irrigidiva la povera Sofia che, nonostante tutto, manteneva un atteggiamento pacifico nei miei confronti. Di certo non si aspettava una compagna di corso così inconsapevolmente invadente ma tant'è, quella era la situazione e quella la compagna che si trovava affianco. Non so esattamente se, alla fine, il suo sia stato un arrendersi per sfinimento ad un mio comportamento reiterato; eppure ad oggi è Sofia quella che viene ad abbracciarmi per prima ogni volta che ci vediamo. Ogni suo abbraccio è intriso della nostra storia, una storia di un'amicizia tra Sofia, la compagna di banco che non soffriva il contatto fisico e me la vicina fastidiosamente affettuosa.
Abbraccio come umanità: la storia di una piccola paziente. Nel 2017 ho avuto la possibilità di svolgere il tirocinio di infermieristica tra due unità: la rianimazione e la sala operatoria. Un giorno di quel tirocinio, fui affidata alla sala pediatrica. La prima paziente della giornata fu Lucia (qui useremo un nome di fantasia). Al suo ingresso nell'unità operatoria Lucia era visibilmente terrorizzata, le sale operatorie riecheggiavano di rumori striduli e meccanici, per nulla rincuoranti. Feci del mio meglio per distrarla da quei suoni e quell'ambiente così freddo e sterile: mi misi a raccontarle storie giocando con lei nel letto dell'ospedale, su cui era stata trasportata. Poco prima di essere trasferita sul tavolo operatorio, Lucia mi strinse forte la mano: "Non mi lasci sola vero?" miagolò con gli occhi lucidi e pieni di paura. "Starò con te tutto il tempo, te lo prometto. Ci vediamo quando ti svegli!". Nel dirlo alzai il mignolo dell'altra mano pronta alla stretta di accordo. Lucia mi strinse forte con il suo mignolo prima di scivolare addormentata per effetto della sedazione. Non fu un operazione lunga; così quando Lucia riprese coscienza, tra uno sbadiglio e l'altro con le palpebre ancora appesantite dai sedativi, la salutai. "Ciao Lucia! Hai visto? Abbiamo finito. Sei stata bravissima!". La sentii sbiascicare il mio nome. Rimasi sorpresa quando la vidi allungare le braccia sottili verso la mia voce. "Grazie di non avermi lasciata". Strinsi la piccola paziente con affetto e mi cullai in quell'abbraccio tanto fragile quanto potente, in quel momento la confusione delle sale operatorie tacque. Rimase solo la commuovente umanità di quell'attimo tutto nostro.
Abbraccio come coraggio: la storia di Elena. Elena aveva potenzialmente tutto: un lavoro stabile, una relazione appena nata che poteva fiorire e realizzare grandi progetti, una casa e una macchina. Ma Elena non era felice. Elena sognava di andare in Africa per realizzare il suo desiderio umanitario. Un sogno che ardeva nelle vene e che le tormentava il pensiero ogni giorno. E più passava il tempo, più Elena si chiedeva cosa dovesse scegliere tra la monotonia del sicuro e il brivido dell'incertezza e del desiderio. Ricordo ancora la sua espressione entusiasta di rientro dall'ospedale. "Ho consegnato le dimissioni, Lisa! Parto per l'Africa!!". Elena aveva deciso che ci sarebbe sempre stato tempo per la monotonia, ma non in quel momento, non a 27 anni. "L'hai fatto! L'hai fatto!!", le corsi incontro e l'abbracciai stretta a me. Elena aveva scelto se stessa e i suoi sogni, ma non solo. Elena con la sua decisione voleva aggiungere un po' di sconsideratezza in una vita che era stata fin troppo posata. L'emozione luccicava nei suo begli occhi verde mare. Quel mare che avrebbe attraversato da lì a poco per andare incontro a quella sua parte avventuriera che iniziava a scapitare nella sua anima. Elena aveva fatto tutto questo per non avere rimpianti nella vita. Per non trovarsi un giorno a chiedersi come sarebbe andata se avesse fatto quel passo oltre, oltre un confine segnato e definito da altri. Elena non voleva guardare indietro pentendosi di non aver fatto qualcosa che non sarebbe più riuscita a fare dopo probabilmente, quando tutto si complica o quando la forma fisica lo rende meno fattibile. Elena quel giorno, mi dimostrò tutto il suo ardore e coraggio. Per me un grande esempio.
Abbraccio come crescita: la storia di papà. Papà è cresciuto negli anni '60, nel pieno del boom economico italiano. Per quanto la situazione italiana stesse vivendo un tempo di maggior stabilità, papà veniva sempre da una classe contadina molto dedita al lavoro e poco alla pratica montessoriana. Non c'era tempo per gli abbracci in un mondo di duro lavoro così come non c'era tempo per spiegare i sentimenti ai bambini, che dovevano comportarsi da mini adulti. Si pretendeva tanto, anche e soprattutto nel rigore morale. Eppure, nonostante questa mancanza infantile molto presente nella storia di tanti bambini di quegli anni, gli abbracci di papà erano i miei preferiti in assoluto. Mamma, affettuosa per natura, con gli anni aveva addomesticato quell'animo rigido e composto di mio padre. Per questo motivo il suo abbraccio è così importante per me, perché è un abbraccio che ha saputo modificare una natura umana già modellata. Un insegnamento per tutti: c'è sempre spazio di crescita e miglioramento se l'insegnamento proviene dal cuore.
Queste sono alcune delle tante storie che popolano la mia memoria e la vita di tutti i giorni. Amo dare e ricevere "caldi abbracci". Abbracci in cui sprofondare, in cui gioire, in cui vivere. Perché se c'è una cosa che la pandemia di Covid ci ha dimostrato è che l'uomo ha bisogno di umanità. Di tocco, di gentilezza, di amore. Quindi, ora il mondo ha deciso di darci una tregua da una distanza di sicurezza imposta; riappropriatevi degli abbracci, delle carezze, della gentilezza e dell'amore. Riappropriatevi di ciò che ci rende umani e vivi: la nostra socialità. Con curiosità, umanità e coraggio; scrivendo ogni giorno le vostre storie di abbracci.