Disegna la tua realtà con le tue passioni
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BUON ASCOLTO!
Se c'è una cosa che mi chiedono sempre è come faccio a scrivere i miei testi, dove trovo l'ispirazione e le parole per descrivere così bene situazioni e sentimenti. Quando lo fanno, rispondo senza esitazione "vengono da dentro, escono da sole". Una cosa che ho sentito spesso dagli artisti, ma che non ho mai sentito particolarmente mia, non consapevolmente, soprattutto all'inizio.
Durante gli anni di scuola, io e i miei compagni abbiamo avuto la possibilità di studiare recitazione. Un breve corso amatoriale, tenuto nell'aula magna della mia scuola. Un corso propedeutico al nostro ingresso, come attori, nello spettacolo di fine anno. Ogni anno infatti, veniva messa in scena una rivisitazione di una tragedia greca, dagli studenti delle classi di IV e V del Liceo Classico. Nel 2012 ero galvanizzata da questa opportunità. Il mondo "delle arti e dello spettacolo" mi ha sempre affascinato e non vedevo l'ora di iniziare il corso. Non avevo tante aspettative, sapevo che solo alcuni del IV anno venivano scelti, solitamente poi per ruoli marginali. Affrontai il corso con gioia e impegno, mi piaceva potermi sperimentare anche nella recitazione dopo svariati anni passati a esibirmi con la danza. Avevo scoperto quanto mi piacesse esibirmi davanti ad un pubblico, quella sensazione adrenalinica che attorcigliava le budella mi faceva percepire tutta la mia forza; soprattutto nel superare certi miei limiti personali. Ebbene, quell'anno, con grande sorpresa fui scelta anche io. Nell'elenco delle comparse, affianco al mio nome, trovai "Messaggero II". Nella mia testa mi si dipingeva un ruolo insignificante da semplice messaggero, neanche da primo messaggero poi, ma da secondo; cosa avrei mai dovuto dire? Eppure, in linea con la tradizione greca, che avrei dovuto conoscere; il messaggero era più che importante. Esso aveva il compito di rappresentare, attraverso le parole, la tragicità delle scene più violente. Nel teatro greco non venivano mai rappresentate, ma solo raccontate. Veniva lasciato allo spettatore il compito di dipingersele nella sua mente. Quando mi portarono il copione, l'insegnante mi disse chiaramente quanto il mio ruolo fosse cruciale. Se conoscete la storia di Edipo, la tragedia che mettemmo in scena quell'anno, sapete che la madre del giovane re arriva ad uccidersi dopo aver scoperto di aver giaciuto inconsapevolmente con il figlio. Ecco la mia scena tragica da raccontare. Il mio compito era di trasmettere tutto quel dolore con le mie parole, la mia voce e il mio corpo. Ma come fare? Come immergersi in un dolore che non potevo sentire mio?
Queste domande risuonavano nella mia mente, perché sapevo che per poter emozionare gli altri, bisognava prima sapersi emozionare. Dovevo trovare qualcosa che mi riconducesse a quel grado di dolore. Un dolore straziante, sordo e crudo. Tornai indietro nel tempo, alla scomparsa di mio padre. Mi aggrappai a quel nodo interiore, per estrapolare l'emozione di cui avevo bisogno per raccontare quella tragedia. E così fu. Le mie parole, le mie grida, il mio dolore esplosero quella sera, rimbombando forti tra le pareti del teatro. I brividi mi correvano sulle braccia e lungo la schiena, mentre gli occhi mi si bagnavano di lacrime e la voce si rompeva come vetro incrinato. In quel preciso momento ho realizzato di esserci riuscita. Di essere riuscita a collegarmi con quella parte di me, da cui può nascere l'arte.
Mi ci aggrappai spesso, successivamente, soprattutto nelle arti sceniche; nel teatro così come nella danza. Ogni volta che avevo bisogno di trasmettere emozioni, mi immergevo in me stessa, in quella profondità che avevo scoperto in me e che rappresentava il mondo delle mie emozioni. E non vi nascondo che ancora adesso lo faccio, allo stesso modo. Con il tempo, ho imparato a conoscere questo mondo, scoprendo che non cela solo il dolore. In esso trovo tutte le sfumature di sentimento che viviamo ogni giorno, piccoli e grandi episodi che mi ancorano al vivo dell'emozione che risale rapida, correndo veloce sulla pelle e sulla schiena, quando ho bisogno di essa. Ed è come poi se l'emozione viaggiasse da corpo a corpo, fino allo spettatore che mi ascolta, dipingendo la scena chiara nella sua mente. Come un messaggero delle tragedie greche.
È un qualcosa che ho percepito forte anche al concerto del maestro Cacciapaglia in un venerdì uggioso, umido e piovoso. Vedevo come riuscisse, attraverso i movimenti febbrili delle dita sul pianoforte, a raccontarmi la sua storia e vivere le sue emozioni. Le melodie suonate si trasmetteva tutt'intorno per dipingere chiara e forte l'immagine che aveva ispirato il grande maestro. Come se fossi catapultata in una dimensione altra. Lo vedevo mentre tracciava nell'aria con la leggiadria delle sue mani l'immagine vissuta, raccontandola a volte forte a volte delicatamente attraverso i tasti del pianoforte. Vedevo l'Oceano con la forza maestosa delle sue onde. Osservavo le immense Nuvole di Luce mentre aleggiavano placide in un cielo infuocato. Il tutto nella platea di un teatro. Nella pura espressione dell'arte.
È da quella profondità, che arriva tutto. L'idea, la parola, ma soprattutto l'emozione. Da quella profondità che è il bacino della mia ispirazione, che giornalmente viene rimpinguata da quello che vivo e sperimento tutti i giorni. Non serve essere grandi artisti, per immergerci in noi stessi. Non serve essere grandi artisti per fare arte. Tutto di noi è arte e tutto quello che ci circonda può dare vita ad emozioni. Imparate a vivere pienamente queste emozioni, imparate ad immergervi in esse. E usate le vostre passioni per riconnettervi a quel mondo interiore, da dove nasce la magia. Quella vera. Quella che sa correre sulla pelle, risalire la schiena, imperlare gli occhi e farci sentire vivi.