Apprezza quello che hai quando lo hai

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BUON ASCOLTO!

 

Oggi, accompagnata da un colonna sonora nostalgica anni 80, in una calda domenica di fine maggio pensavo a quante cose diamo per scontate nella vita. Trascorriamo ogni giorno, aspettando quello che verrà o rimpiangendo quello che è stato. Viviamo così senza una vera consapevolezza di quello che ci stiamo perdendo nel presente, che può sempre aspettare. Come se tutto rimanesse lì ad aspettare noi, ad aspettare la realizzazione che, nel momento in cui ti accorgi del momento presente, esso è già passato. Così passano le opportunità, passa la giovinezza, passa la vita. Niente è per sempre, non noi non le persone che amiamo, come i genitori.

Riflettevo su questo mentre ascoltavo le parole di sconforto di un amico, triste per la malattia del padre. Con il senso di impotenza, tipico di chi si accorge che la vita è testardamente imprevedibile. Oggi è così, domani non lo è più. Niente rimane come lo ricordi, tutto cresce e muta. In nuove forme, in nuove occasioni. E per ogni cosa che inizia, qualcosa finisce. In un ciclo non controllabile, da nessuno. Sicuramente non da noi o dalla nostra mente limitata. È un concetto che mi preme molto, specialmente ad ogni fine primavera. Con l'estate mi viene ancora più in mente quanto niente sia definitivo, mai. Complici le belle giornate, il sole caldo, la voglia di uscire e divertirsi, ma ogni estate si risveglia in me la voglia ardente di vita. Forse perché in una estate passata, ho sperimentato quanto labile questa vita sia.

Ogni inizio giugno, come consuetudine, si andava tutti insieme nella casa in montagna. Con l'estate alle porte, si poteva aprire la stagione di villeggiatura, ma non prima di aver sistemato la casa ancora addormentata dall'inverno. Tutta la famiglia si dava da fare: si aprivano le finestre, si dava aria alla casa, si piantavano i fiori e si tagliava il prato. Anche se non amavo tanto dovermi rimboccare le maniche, mi piaceva l'atmosfera che si creava intorno a me. Papà, felice come un bambino, indossava svelto la tuta da lavoro i grandi stivali di gomma e il cappello giallo ocra. Lavorava un anno intero in giacca e cravatta, solo per il lusso di poter un giorno rindossare quella vecchia tuta da lavoro, tutta rossa e ruvida al tatto. Attaccava la vecchia radio a tutto volume e con quella colorata colonna sonora, partiva alla ricerca dei vecchi strumenti da lavoro. Prendeva il tagliaerba e il decespugliatore dal deposito che rimbombava del suo fischiettare allegro e spensierato. Tirava tenace la sottile cordicella per avviare il motore e si perdeva in quel frastuono di rumore e musica anni 80. Osservavo sempre quel suo metodico lavorare, l'andatura costante e calma. Amava tagliare il prato per vederlo pulito e in ordine. Io solitamente ero l'addetta al rifocillamento dell'inesauribile lavoratore. Correvo scalza sul prato, portando acqua fresca al mio infaticabile papà. Un lavoro pieno di responsabilità, ma che qualcuno doveva pur fare. Io ero stata la prescelta. Con il senno di poi credo che quello, come l'altro mio compito ufficiale di scartavetrare tutte le opere in legno che mio padre amava intagliare, fosse solo una scusa per farmi sentire utile senza creare danni al suo impeccabile lavoro. E non farmi affaticare troppo, anche. Papà riusciva a farmi sentire speciale, anche nell'inutilità. Ma soprattutto era il nostro modo per condividere del tempo assieme. Papà era incapace di stare fermo e quella sua casa delle vacanze diventava teatro del suo operare, occasioni per dar sfogo alla sua creatività e a tutte le sue passioni. Sono felice che mia madre, ci incalzasse ogni giorno ad andare ad aiutare quel papà geniale e laborioso che non era capace a stare fermo durante le vacanze estive. Per quanto crescendo preferissi dedicarmi ad altro, in quei momenti "obbligati" non solo ho imparato tanto, ma ho registrato ricordi di noi assieme ora indelebili nella mia mente.

 
 

Era il lontano 2010 quando, in occasione dell'ennesima apertura e manutenzione della casa, mio padre stappò una bottiglia di vino frizzantino per celebrare la libidinosa grigliata che mia madre stava girando sul fuoco. "Oggi dobbiamo festeggiare!"  disse vestito ancora con la tuta da lavoro, sudato ma felice. E lo disse in modo particolarmente gioioso, abbracciando con gli occhi tutta la sua famiglia riunita davanti al focolare scoppiettante. Ridemmo e scherzammo, quel giorno più di altre volte. Tre giorni dopo, quasi uno scherzo della vita, mio padre ci lasciò per un attacco di cuore fulminante, a soli 49 anni. Quasi avesse avuto un presentimento, quel giorno a Campofontana, aveva deciso di festeggiare quella semplicità che gli riempiva tanto il cuore: noi nella nostra casa dei sogni. Un fugace momento di gioia. L'ultimo tutti assieme.

Oggi, come ogni anno, continuiamo quella tradizione. Anche se non sempre riusciamo tutti assieme. Ma si apre la casa, si cura il giardino e si piantano i fiori. A turno indossiamo quella tuta rossa, sempre vecchia e ruvida al tatto. Accendiamo la radio con la musica anni 80, che tanto amava papà; prendiamo il tagliaerba dal deposito, fischiettando quei motivetti gioiosi. Tagliamo metodici il prato, come papà c'ha insegnato; baciati dal sole e dalla gratitudine. Qualcuno porta l'acqua fresca, qualcuno prepara la grigliata, qualcuno prende il vino. Stappiamo la bottiglia con allegria e si brinda tutti assieme, celebrando la vita e la famiglia, in quel posto che è casa. Perché anche se papà non è più qui, noi ci siamo ancora. E decidiamo consapevolmente di vivere. Perché, troppo spesso, vedo persone che non stanno vivendo. Vivendo davvero. Così preoccupati dal passato o dal futuro, da dimenticarsi quanto il presente sfugga rapido e inesorabile. Proiettati in un momento altro, lontano da dove si reggono in piedi lontano da tutte le loro persone care. Lontane da quel posto e quel momento che invece dovrebbero vivere e celebrare costantemente. Come fece mio padre, in quell'ultimo suo saluto a noi e al mondo.

Vorrei davvero che tutti imparassero questo, senza perdere qualcosa o qualcuno per farlo. Per rendersene conto. Così, quando mi chiedono perché esco ancora con la mamma, per fare cose magari lontane dalla mia età ma che mi piacciono da morire: come visitare ville palladiane di sabato pomeriggio. Griderei a tutti per questo. Per celebrare chi c'è ancora, senza darlo per scontato. Per vivere consapevolmente il presente. Per creare momenti indimenticabili, seppur nella loro semplicità. Momenti da poter ricordare per sempre e a cui aggrapparsi tenaci quando dilaniati dallo sconforto.

 

Dedicato a te, papà.

Per sempre nel mio cuore.

 

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