Non è mai come sembra

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BUON ASCOLTO!

Questo lunedì è stato diverso dal solito e mi ha permesso di entrare nella settimana con uno spirito nuovo. Lunedì mattina infatti ho assistito ad uno spettacolo del progetto "Ragazzi si danza", una rassegna di danza per scuole e famiglie che cerca di avvicinare ed educare il giovane pubblico al linguaggio della danza. Una produzione Ersiliadanza di Laura Corradi svolta al teatro Camploy di Verona.

Appena entrata in platea sono stata accolta dalle grida di un centinaio di bambini di alcune delle scuole elementari di Verona. Tutti emozionati e curiosi di vedere in scena la regia di Alberto Munarin in #testadilegno. Il messaggio tanto semplice quanto delicato: il bullismo. Munarin, per creare la trama dello spettacolo, si è basato sulla scena in cui il Gatto e la Volpe ingannano Pinocchio nel Campo dei Miracoli per sottrargli le monetine d'oro. Una storia tratta e rivisitata dal famoso racconto "Le avventure di Pinocchio" di Carlo Collodi. Appena entrata in teatro, la direttrice delle luci Alberta Finocchiaro mi ha indicato il mio posto a sedere e lì, in mezzo a tutti quei bambini, è iniziata la magia.

 
 

Le luci hanno iniziato a danzare sul palco, la musica si è propagata intorno a noi e lo spettacolo è cominciato. Uno alla volta sono entrati i protagonisti della storia: Alberto Munarin nelle vesti del Gatto, Gessica Perusi nella veste della Volpe e Daniele Monticelli nella veste di Pinocchio. Nella sua semplicità scenografica, i movimenti e l'interpretazione degli artisti hanno fatto da padrone, riuscendo a trasportarmi in quel mondo magico in cui la realtà si mischia alla fantasia. In un attimo non ero più in teatro ma persa nel campo dei Miracoli a seguire le scorribande del Gatto e la Volpe. Ad indagare il loro rapporto e la loro psiche. L'alternanza di momenti comici a momenti più introspettivi, giocava magistralmente con le emozioni del pubblico che lo osservava, rendendolo partecipe delle scelte e delle emozioni che a loro volta vivevano i protagonisti.

Senza rendermene conto le lacrime hanno iniziato a rigarmi le guance mentre guardavo Pinocchio rannicchiato su se stesso in preda alla sconsolazione; afflitto, ferito e umiliato dopo l'incontro violento con il Gatto e la Volpe. La voce consolatoria della Fata Turchina rimbombava dolce e forte, affondando un senso di impotenza nel cuore degli spettatori. Quante volte ci troviamo ad assistere a scene di violenza fisica, psicologica o verbale, senza riuscire a fare nulla? Senza riuscire ad evitarle? Anche a scuola. Non si può controllare tutto è vero, ma rendersi conto di quanto dolore possa vivere un bambino bullizzato mi stringeva il cuore e mi bruciava la gola. E lì è facile cadere nella tentazione di rispondere all'odio con altro odio. A puntare il dito verso i carnefici incolpandoli a propria volta e umiliandoli. Finendo col ripetere esattamente il loro comportamento sbagliato. Ma non è con l'odio che si risolvono le cose, ma con l'amore. E Alberto Munarin ha saputo renderlo meravigliosamente. Il suo spettacolo non era una mera denuncia al bullismo, ma si è proposto un obiettivo ancora più grande e ambizioso: creare compassione. Creare compassione per l'artefice del bullismo, andando a spiegare perché una persona arriva a comportarsi in una determinata maniera. E mentre guardavo la delicatezza con cui Munarin esprimeva tale concetto, le lacrime hanno iniziato a scendere copiose.

Sono tornata indietro nel tempo e ho rivisto una scena che mi si è incisa dentro. Mio fratello infatti ancora preadolescente, era stato al centro di un problema di bullismo verbale. Una volta confidatosi con mia mamma la situazione era stata gestita e limitata con la sola potenza dell'autorevolezza e della compassione. Un giorno, alla fine delle lezioni, mia madre si era avvicinata al ragazzino in questione, per parlare. Con una dolce fermezza aveva chiesto il perché di quel comportamento e gli aveva chiesto di non farlo più. Il ragazzino, che era abituato alle prediche non era tanto impressionato dalla cosa. Quando sua madre raggiunse la mia, si leggeva in volto la sua frustrazione: "È successo qualcosa, vero? Che ha combinato questa volta?". Mia madre ha osservato il ragazzino ed è stata la sua risposta a fare la differenza in tutta questa storia. "Non è successo niente, io e Giuseppe abbiamo fatto una chiacchierata. Mi ha dimostrato quanto sia un bravo ragazzo e mi ha promesso di continuare così". La madre del ragazzo osservava sbalordita la scena, nessuno si era mai complimentata con lei per suo figlio. Ma quello più colpito fu proprio il ragazzo che d'allora non solo non prese più in giro mio fratello, ma iniziò a salutare calorosamente mia mamma ogni volta che la trovava in giro. Giuseppe infatti era felice che qualcuno finalmente lo avesse visto, per la prima volta senza l'occhio della critica.

Ed è questo che rivedevo nello spettacolo #testadilegno: vedevo quanta potenza e trasformazione ci sia nel rispondere all'odio con amore e compassione. Perché questo è il senso dell'educazione emotiva secondo me, sensibilizzare i bambini ma anche gli adulti a mettersi nelle scarpe degli altri. Perché dietro ogni comportamento c'è sempre una motivazione altra, la richiesta d'aiuto di un bambino a sua volta ferito e non compreso. Se smettessimo di guardare sempre a noi stessi ed indagassimo meglio e con una curiosità più autentica il mondo degli altri, imparando banalmente ad ascoltarli per davvero, beh! Capiremmo molto di più. Capiremmo quanto ogni persona desideri essere riconosciuta e validata dal proprio contesto sociale; e pur di essere vista e accolta, accetta anche il ruolo del cattivo. Perché essere visti cattivi è meglio che non essere visti da nessuno.

Iniziamo a guardare davvero gli occhi delle persone quando ci parlano. Iniziamo davvero ad ascoltare alla loro voce timida e impacciata quando si esprimono. Lasciamo che ci raccontino le loro storie e le loro emozioni, imparando quanto sia prezioso il nostro silenzio e la nostra completa attenzione. Liberiamoci dai nostri pregiudizi per accogliere le loro parole, ma facciamolo davvero. E insegniamolo agli altri attraverso il nostro esempio. C'è sempre da imparare nella vita e molti di questi insegnamenti sono proprio nelle parole degli altri che facciamo così fatica ad ascoltare.

 

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