Nessuno empatizza con WonderWoman

Di seguito trovi la lettura, in formato audio, dell’articolo.

Buon ascolto!

 
Ci vuole coraggio per mostrare le proprie fragilità
 
 

Quando sentì questa frase per la prima volta, durante il corso tenuto dalla love coach Mary G. Baccaglini, è stata come una secchiata di acqua gelida in pieno viso. Una verità così semplice e diretta, che mi ha portato a riflettere ancora oggi sull'importanza della fragilità.

Ho sempre pensato che fare tutto da sola, senza chiedere mai, fosse non solo un vanto ma un dovere morale per una giovane donna. Non volevo dare la possibilità a nessuno, meno che meno ad un uomo, di avere anche solo il pensiero che una donna avesse bisogno dell'aiuto maschile per non solo fare, ma anche esistere. Questo almeno era quello che avevo imparato da mio padre. Ogni giorno insegnava qualcosa di nuovo a quegli occhietti vispi e curiosi che lo guardavano incantata: "Devi saper fare un po' di tutto, Lisa. Non sai mai cosa può tornarti utile nella vita e soprattutto non devi elemosinare aiuti da nessuno, nessuno ha interesse ad aiutarti davvero. Tu invece hai tutte le capacità qui nelle tue mani e nella tua testa". Mia padre era campione del tuttofare, del non chiedere mai. E quello che non sapeva fare, se lo inventava. O lo studiava fino ad imparare a farlo. Memore di questi insegnamenti, perseguivo nel non chiedere mai nulla, a nessuno. Quasi fosse vergognoso. Anche se io per prima offrivo il mio aiuto e i miei talenti, gratuitamente, a chi necessitava.

Quando mi dissero per la prima volta che mettevo “soggezione", non colsi l'antifona che celava l'inciso.

Mi domandai cosa volesse dire "mettere soggezione": creare timore? Disagio?

Io che mi sentivo sempre così accogliente e paziente, pronta ad ascoltare ed aiutare l'altro senza pregiudizi, non ne avevo idea. Fino a quando non sentì la frase della Mary G.

Non ero io, Lisa, a mettere a soggezione, era quello che io avevo costruito sotto di me. Il piedistallo di inafferrabilità che avevo modellato per tanti anni. Anni di "ce la faccio anche da sola", di "non ho bisogno di chiedere a nessuno", dei "mi arrangio", del "ci penso io". Il mio modo di fare non allontanava solo gli altri, ma aveva sviluppato in me un moto di responsabilità nei confronti degli altri che mi portava ad interessarmi dei problemi altrui, più che a quelli personali. Perché tanto io mi arrangiavo. Io ce la facevo comunque. E ce la facevo sì, ma a che prezzo?

Sì perché qui si concentra la questione: quando non ci si concede il lusso di mostrarsi deboli, non ci si concede neanche la possibilità di farsi aiutare. Che alla fine è quello che sotto sotto, vorremmo davvero. Qualcuno che non solo veda i nostri problemi ma ci aiuti a superarli o ci supporti nel farlo, come noi facciamo sempre con gli altri. Solo che poi è difficile accettarlo. Almeno per me. Dare agli altri la possibilità di aiutarci, ci toglie la parvenza di controllo su quello che ci capita. E ci apre la strada alla possibilità di rimanere delusi o feriti, se le cose non vanno come vorremmo. Forse è questo che mi impediva di mostrarmi debole: temevo alla fine di trovarmi sola. E per non finire da sola, mi ci mettevo io per prima. Nel fare tutto da me, non correvo nessun rischio, ma non vivevo neanche la possibilità di farmi stupire. Come superare l'empasse allora?

Scegliendo. Mettendosi nella condizione di scegliere. Agire invece che subire le decisioni altrui. Ma cosa intendo?

Intendo che non c'è nulla di sbagliato a chiedere aiuto, non si corre nessun rischio, se so a chi chiedere davvero. Questo cambio di prospettiva, faceva ricadere il potere nelle mie mani. Scegliendo io, a chi chiedere aiuto, andavo a colpo sicuro. Avevo io la responsabilità di scegliere questa persona. Nulla viene lasciato al caso. Perché andando a caso, potrebbe capitare di essere feriti. Scegliendo con cura a chi rivolgermi, potevo rischiare di essere ferita ma con molte meno possibilità. E quando ho provato a farlo, ho trovato un bel po' di persone pronte ad aiutarmi. A ricambiare anni di favori.

Queste sono le mie persone del cuore. Quelle che condividono valori comuni con me. Persone che scelgo ogni giorno di volere nella mia vita. È a loro che non ho paura di mostrarmi fragile e a cui, ora, chiedo aiuto e consiglio. Con piacere ho scoperto che mostrando loro la mia fragilità, migliorava e si fortificava il legame che ci univa. Perché ci spingeva ad essere autentici, ci spingeva a mostrare quello che ci rendeva più simile l'uno all'altro: le nostre fragilità appunto. È nella fragilità che si somiglia. Per questo, anche nei film, di eroi ce n'è sempre uno e di esseri umani a volontà.

Impariamo a riconoscere la bellezza della fragilità, la nostra e quella degli altri. Impariamo la forza di saper chiedere aiuto. Perché sapersi mostrare fragile, richiede coraggio. Il coraggio di un supereroe.

 

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