Le scelte difficili fanno diventare grandi
DI SEGUITO TROVI LA LETTURA, IN FORMATO AUDIO, DELL’ARTICOLO.
BUON ASCOLTO!
Il 2023 per me ha rappresentato una anno di pausa e ritiro in me stessa, il 2024 sapevo si sarebbe aperto con una grande sfida: uscire dal mio torpore emotivo per ritornare ad una routine che avevo abbandonato più di un anno fa. Per quanto tutte le mie intenzioni fossero buone e avessi tanto entusiasmo di rientrare in piena attività, tutto ha cominciato a complicarsi. E più mi addentravo nelle varie burocrazie, più mi sentivo persa e senza bussola. Nessun faro all'orizzonte, nessuna stella polare nel cielo notturno. Niente che potesse darmi qualche indicazione per capire che ero sulla strada giusta. Ovviamente questo mi ha generato tantissima ansia e tormento, come se d'improvviso tornassi bambina e non sapessi bene come muovermi. Ferma e irrigidita dalla paura, come nelle notti insonni dove tutto s'amplifica: il respiro, il battito cardiaco e soprattutto i pensieri e i timori.
Non so perché la notte sia il momento peggiore, forse perché tutto si fa quieto. E senza confusione intorno o impegni che ci possano distrarre, rimaniamo soli con i nostri pensieri tormentati. E in una stanza vuota, si sa, l'eco si fa grande. Inquietante. Di solito cerco di non lasciarmi comandare da queste paure, di solito le accolgo e accetto che mi vengano a trovare. Accendo la luce del comodino e lascio che mi tengano compagnia fino a che il sonno non torna ad appesantire le palpebre. Come stanotte. Le ho sentite arrivare strisciando nel letto e ho sbarrato gli occhi. Ho guardato l'ora: l'1 e 30, oggi in anticipo! Ho acceso la luce e dopo essermi stiracchiata, ho salutato e accolto questi "mostri". "Ditemi tutto, sono pronta!" ho pronunciato tra me e me. Era come assistere ad una riunione di condominio dove io ero il disgraziato amministratore. Avete presente quei condomini in cui tutti bisticciano con tutti e nessuno è capace di ascoltare nessuno? Dove ognuno vuole avere ragione e non accetta nessun parere se non il proprio? Il luogo ideale per le faide. Solo che qui la lotta avveniva dentro di me.
In me infatti, si muovono tante parti. Pezzi di me stessa che stanno cercando una loro forma e dimensione. Fa dannatamente paura rimettere in discussione tutto dopo tanti anni, questo perché mi chiedo come abbia fatto a coesistere in me identità tanto diverse e come abbia fatto a scegliere una sull'altra. A preferirne una che ora sento non appartenermi più. E mentre questo moto incandescente si muove dentro di me, bruciando e scombussolando le mie emozioni; aspetto la genesi di un'identità più nuova e adatta alla persona che voglio diventare. Questo pluralismo che cerco forzatamente di separare mi lacera metaforicamente la carne e mi getta nello sconforto. Perché tanto odio mi chiedo? Perché tanta rabbia verso un lato di me che ha dato quello che ha potuto? Che è stato propedeutico alla mia crescita? Solo ora me ne rendo conto, proprio mentre incido questi pensieri con l'inchiostro digitale. Sono in lutto. In lutto per un'identità che sta morendo e sta rinascendo in una nuova forma più adatta alla persona che sto diventando. La persona che voglio essere.
Per compiere questo nuovo rito di passaggio mi viene chiesto di scegliere, giorno dopo giorno. E scelta dopo scelta sento sprofondare una parte di me oppure riemergere agonica in superficie gridando aiuto. E fa male, perché questo scontro di emozioni mi confonde le idee e rende incerto il futuro. Così alcune volte mi perdo a chiedermi come sarebbe tutto più diverso se mio padre fosse qui con me, a sostenermi. Lui che sembrava sempre sapere cosa fare, con una naturalezza sconcertante. Lui avrebbe saputo cosa fare anche ora, sarebbe bastato un sano confronto e sono sicura che mi sarei messa l'anima in pace. Ma non è nascondendosi dietro i genitori che si diventa adulti. Lo si diventa assumendosi la responsabilità non solo del proprio mondo interiore, ma anche delle proprie scelte personali, quelle che fanno tremare le gambe dalla paura e fanno stare svegli nel cuore della notte.
Così, dopo aver ascoltato tutti i miei condòmini con pazienza ed empatia, ho cercato di arrivare ad un accordo comune. Una scelta comune. Quella di provare e fare il meglio che si può con quello che si ha. Sarà poi il tempo a darci conferma o meno che la scelta fosse quella più giusta. Non si può valutare una cosa a priori, non è una cosa possibile. Ci sono troppi fattori da considerare e la nostra mente non può elaborarli tutti. Quindi non resta che fare. Chiudere la mente alle speculazioni e dare spazio all'esperienza diretta. Quella che si prova nel campo da gioco che è la vita alla fine. Perché non tutto può essere perfetto e, alcune volte, smaniosi come siamo di ricercare quella perfezione ideale, ci perdiamo il bene che alcune esperienze o situazioni ci possono dare.
Respiro profondamente per calmare lo spirito e mi riprometto di provare cambiando però approccio e filosofia. Analizzo le mie priorità e mi faccio guidare da esse con fiducia e coraggio. Non escludo la paura, ma la rendo amica e non ostacolo. Alcune volte non si può sapere se quello che si fa andrà bene o meno fino a che non lo si mette in pratica, quindi che senso ha tormentarsi prima? Questo paralizza e me ne sono resa conto anche io, in queste settimane di scelte e decisioni difficili. Lo ammetto platealmente, affinché coloro che sono nella mia situazione trovino il coraggio di uscire dalla paralisi. Perché è vero, le scelte difficili fanno paura e si vorrebbero evitare se possibile. Ma questo significa anche nascondersi dalle proprie responsabilità e se vogliamo diventare adulti migliori per noi stessi e per gli altri dobbiamo imparare a fare scelte soprattutto quelle più difficili e spaventose.