Mai abbastanza
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Nella vita, tutti abbiamo sperimentato almeno una volta il senso di inadeguatezza; ci riflettevo giusto l'altro giorno grazie al messaggio di un membro della mia community. Nel gruppo Telegram "Progetto Gentilezza" il ragazzo ha condiviso la fine dell'ultima frequentazione e la conseguente delusione nel sentirsi rifiutato dall'altro. Insieme abbiamo visto quanto spesso capita di cadere nella trappola mentale del non sentirsi abbastanza, soprattutto quando sentiamo di non essere scelti da qualcuno che per noi è importante o sta diventando tale.
Troppo spesso infatti tendiamo a definire il nostro valore in base alle circostanze che ci capitano nella vita quotidiana. Siamo disperatamente alla ricerca di validazione esterna; così cerchiamo il nostro senso nel lavoro, nelle relazioni o nei risultati di ogni grado e tipo. Qualsiasi cosa che ci dia una chiara dimostrazione del nostro valore, qualunque cosa che ci possa confermare di valere qualcosa per qualcuno, perché noi per primi non riusciamo a vedere cosa c'è di speciale in noi. Ecco perché ci aggrappiamo a queste persone o risultati, perché vogliamo essere visti e riconosciuti. Quasi che perdessimo di consistenza senza lo sguardo esterno, rischiando di perderci in noi stessi ed essere dimenticati dal mondo.
Forse non molti di voi lo sanno, ma da quest'anno mi sto sperimentando nel lavoro da libera professionista. Una prova con me stessa che mi entusiasma tanto quanto mi terrorizza e che mi sprona ad uscire dalla mia comfort zone. I colloqui si susseguono e, come è normale, non tutti vanno bene. Alcune volte capita anche di andare avanti nelle selezioni per poi sentirsi dire no quasi alla fine. Una sconfitta che brucia. Eppure ad ora, tutto brucia meno. Perché non riesco più a vederlo come un fallimento, un colloquio che non va come spero, non è più qualcosa che interiorizzo. Ci possono essere diversi significati e mi concentro su quelli, con occhio costruttivo ed empatico. Se c'è qualcosa che posso migliorare bene, vuol dire che la strada come professionista è ancora lunga, se è qualcosa di immodificabile e fuori dal mio controllo, lo lascio andare. Non me la prendo con me stessa, non più. Ammetto i miei limiti e li accetto con empatia e compassione, non mi giudico più con occhi severi come facevo un tempo. Non lascio più che siano le situazioni, i raggiungimenti o le persone a definirmi.
Era l'estate del 2017 quando il ragazzo che frequentavo all'epoca mi fece notare quanto le mie cosce avessero bisogno di essere allenate, tonificate e magari snellite. Mi ricordo ancora la sensazione di inettitudine che mi colorò le guance e inumidì gli occhi. Ho lottato con il mio peso fin da ragazzina e sentirmi dire dalla persona che mi piaceva che le mie insicurezze sul mio aspetto fisico erano giustificate, mi ha ferito e umiliato terribilmente. Mi ha fatto odiare il mio corpo e sentire inadeguata. E quando poi mi lasciò, il sillogismo fu immediato: il problema era il mio fisico non perfetto, le mie cosce importanti e non filiformi. Se fossi stata magra abbastanza, la nostra storia non sarebbe finita probabilmente, mi dicevo. Solo che poi non mi sono fermata lì: tutto non era mai abbastanza in me, così neanche io ero più abbastanza per me stessa. Ho impiegato anni a cambiare il mio sguardo, a rimuovere quella patina di disgusto che non mi faceva vedere chiaramente le mie qualità, banalizzandole e denigrandole. Ho sostituito il disprezzo con la curiosità e giorno dopo giorno, mi sono innamorata di me. Di come mi sveglio spettinata e stropicciata il mattino, della mia risata e della mia dolcezza, del mio fisico imperfetto e del volto incapace di nascondere le mie emozioni. Ho conosciuto e apprezzato i miei talenti, curato e protetto le mie fragilità, ho indagato le mie paure e ho trovato loro una casa in cui liberarsi senza condizionarmi più. Con cura, pazienza e amore ho accolto la mia unicità.
Cosicché l'altro giorno quando ho ricevuto rivelazioni scioccanti su aspetti della mia fisicità che non incontravano i gusti della persona che mi sedeva di fronte, in un piccolo tavolino di una caffetteria, per un attimo sono volata al 2017. La bustina del te che rigiravo e sminuzzavo tra le dita mi chiedeva pietà. Con gli occhi bassi mi sono presa un momento per sentire tutte le emozioni che hanno iniziato ad agitarsi in me: sentivo chiaramente la vergogna, la tristezza e la delusione. Percepivo che c'era di più, queste emozioni nascondevano ben altro. Come potevo vergognarmi di un qualcosa che mi rende quella che sono? Sentirmi triste che una persona avesse sottolineato quello che per lei era una mia mancanza? Non erano queste le emozioni reali e giuste. Alla fine sotto tutte queste emozioni parassita ho trovato la vera protagonista: era la rabbia, l'emozione che in quel momento era la più giusta e doverosa per difendere la mia unicità e il mio valore. Ho fatto un bel respiro e ho lasciato che l'emozione mi fornisse la giusta energia. Ho alzato lo sguardo e ho chiuso la conversazione. L'altra persona era scioccata quasi quanto me per la determinazione che mi infuocava gli occhi. "Io sono abbastanza" mi ripetevo "Più che abbastanza! E se tu non lo vedi è un problema tuo, non mio". Dentro di me rivedevo quella giovane Lisa, con gli occhi persi in uno specchio a tutta parete mentre si toccava quelle cosce "da snellire", questa volta però sorrideva perché sapeva che le sue cosce erano ok. Tutto sarebbe stato ok per chiunque l'avesse guardata con gli occhi dell'amore, lo stesso amore con cui ora io guardavo me stessa.
Perché qui è il nocciolo della questione, non riusciamo a volerci bene. Non riusciamo a validare noi stessi senza almeno una seconda approvazione esterna e lì rischiamo che nulla ci basti mai e tutto al contrario possa condizionarci. Noi siamo di noi stessi ed è la nostra opinione che dovrebbe avere la meglio nella definizione del nostro valore, perché solo noi ci conosciamo a fondo. Solo noi sappiamo cosa abbiamo vissuto, cosa abbiamo passato nella nostra vita; tutte le sfide, le cadute e le vittorie affrontate. Se non siamo noi per primi a vedere ciò che di speciale si muove dentro di noi, nessuno potrà mai regalarci il suo sguardo. E sarebbe un peccato alla fine, perché nella disperata ricerca di validazione esterna avremo sprecato tutto il nostro valore.