La trappola del voto scolastico
Di seguito trovi la lettura, in formato audio, dell’articolo.
Buon ascolto!
C'è stato un tempo in cui pensavo di non essere portata per scrivere, per trasmettere emozioni e far sognare. Un tempo in cui, io stessa, non mi permettevo di sognare. Più precisamente il tempo delle superiori.
Ricordo pochissimi buoni voti nei temi negli anni del liceo e farli, molto spesso, mi metteva l'agonia. L'incasellamento obbligatorio della mia penna, in un'unica consegna, per me era frustrante. Non mi piaceva scrivere a comando. Ero così focalizzata su quello che pensavo volesse sentirsi dire il professore, che la mia voce risultava banale e scontata. Pigra. Come ero io nel provare a scrivere qualcosa che avesse ordine e senso compiuto. Se conoscete la mia storia, poi, ricorderete che in quegli anni persi mio padre, un evento che mi catapultò nell'adultità "senza passare dal via", come nel monopoli. Mi rinchiusi in una gabbia di responsabilità, che mi fecero mettere in discussione i miei desideri e chi fossi come persona (una bambina? Una adulta?). Pensare a questioni da "grandi" mi fece assumere un atteggiamento di noncuranza nei confronti dei miei sogni di adolescente. È in quel periodo che smisi di scrivere i miei pensieri nel diario segreto e tenere proprio un diario personale. I miei sogni erano stati spenti e sentivo la mia penna non all'altezza, era inutile raccontare qualcosa. Anche solo provarci. Ritornavo alla scrittura solo nel pieno della confusione, più per bisogno che per volontà. Scrivevo alla rinfusa i miei sentimenti e poi me ne dimenticavo. Fino a che dimenticai i diari e il mondo magico della scrittura. Non c'era tempo per tutto quel mondo di fantasia, in una realtà che mi richiamava all'ordine emotivo, alla pragmaticità della burocrazia di successione e soprattutto che mi aveva convinto di non avere alcuna capacità.
Sono sempre stata una bambina molto curiosa e brava a scuola. Amavo imparare sempre cose nuove. Ero entusiasta e gioiosa nell'apprendere. Non so esattamente quando fu il momento in cui iniziai a correlare la mia bravura ad un voto, forse le superiori appunto. Quando ai giudizi presero posto i numeri decimali. Forse quando il professore di greco decise di consegnare il compito della versione in ordine crescente, dal voto più basso a quello più alto e migliore. La sfilata della vergogna e dell'umiliazione. Perché questo è stato per me il 2 e mezzo nella versione di greco, quell'anno. Non riuscì a sostenere lo sguardo del professore, quel giorno. Cosa che notai altre volte nel corso degli anni, soprattutto in quei compagni per cui la scuola non fu mai così semplice. Notavo sempre la fitta di dolore nei loro occhi che i più mascheravano con malcelata strafottenza. A nessuno piace sentirsi uno stupido, una persona da 2 da 3 da 4 da 5. Una persona che vale così poco agli occhi di persone che dovrebbero rappresentare dei punti di riferimento. Parlo dei professori, ma anche dei genitori, di parenti, allenatori che siano.
I voti valutano le competenze, sì. Ma perché, mi chiedo, si tiene così poco conto del mondo interiore di tutti questi ragazzi? Perché ricordo ancora tutte le lacrime viste negli anni di scuola. Più di tutte, quelle di una mia compagna di classe che non eccelleva in inglese. La sua difficoltà personale nei confronti di quella lingua straniera le era stata così tanto consolidata, che si era convinta di non potercela fare a superare un compito o un'interrogazione che fosse. Eppure, un giorno, a ridosso degli scrutini di fine anno, era così terrorizzata dall'avere il debito, che studiò giorno e notte, per ottenere un buon voto e per rivendicare il suo valore agli occhi del professore. Per dimostrare a se stessa che ce la poteva fare. Arrivò il giorno fatidico dell'interrogazione. Le emozioni ebbero la meglio, i traumi delle volte precedenti le confusero i pensieri e ingarbugliarono le parole. L'interrogazione era insufficiente. Tutto il suo sforzo era stato insufficiente, ai suoi occhi. Lei, si sentiva insufficiente. Pianse. I singhiozzi le sconvolsero il petto. La sensazione di fallimento era così imponente sulle sue spalle, che la percepì anche io dall'altro capo della classe. Un dolore che in molti abbiamo provato, nella scuola come in altri campi. Quelli in cui tendiamo ad identificare il nostro valore con i risultati che otteniamo.
Ne parlavo giusto qualche giorno fa con Diletta, una mia cara amica.
"Sai, Lisa, mi sono accorta che avrei potuto fare molto di più nella mia vita fin ad ora. Avrei potuto studiare altre cose, vivere altre vite, se solo avessi saputo cosa potevo fare davvero, con le mie capacità".
Le ho rivolto uno sguardo che cercava di trasmetterle tutto il mio affetto, a Diletta non piace troppo il contatto fisico. Sì, aveva ragione. Diletta è una donna che ammiro tanto e a cui voglio molto bene. È un caleidoscopio di colori ed emozioni che non ha ancora trovato il suo modo di risplendere appieno. Diletta mi racconta sempre ridendo gli anni delle medie, non aveva voglia di studiare o così le avevano fatto credere. Da lì il suo futuro si è costruito intorno a questo suo modo di vedersi e percepirsi, volando a ribasso probabilmente. E poi, cosa è successo? È cresciuta e si è indagata. Ha iniziato ad indagare il suo mondo interiore e ha notato quel purpurrì di colori che le avevano fatto tacere per tanto, incasellata in una idea di come doveva essere. Ma su che opinione? Quella degli altri.
Sono piena di aneddoti sulla scuola e sul valore che insegna a percepire agli studenti, ne avrete tanti anche voi. Mio fratello odiava studiare italiano e la narrativa italiana, fino a che non ha trovato la sua professoressa delle superiori, con cui ancora oggi è rimasto in contatto. Lei gli ha fatto vedere quello che lui aveva creduto di non possedere: delle capacità. Le sue. Erano solo nascoste, non riconosciute e valorizzate.
La buona notizia? Non è mai tardi per rendersi conto di quanto abbiamo dentro. Del mondo delle capacità, della passione, della forza di volontà nascosta dietro a lenzuola impolverate, piene di motivi infantili. Quelle che accompagnavano i nostri sogni fanciulleschi, nel letto di casa nostra. Abbiate il coraggio di dare aria a quel mondo di colori che è in voi. Assumetevi la responsabilità di trovare in voi il vostro più grande sostenitore e mentore.
Tutti ne abbiamo bisogno, soprattutto quelli per cui i voti scolastici, li hanno convinti di non essere abbastanza.