La bellezza dell'imperfezione

Di seguito trovi la lettura, in formato audio, dell’articolo.

Buon ascolto!

 

Questo articolo è dedicato ad Elena, una mia amica nonché coinquilina durante la Pandemia Covid19.

È nata un po' per caso, la nostra convivenza: Elena doveva partire per l'Africa a breve e volevamo entrambe risparmiare qualche soldo. Elena è infermiera come me, a quel tempo lavoravamo nello stesso reparto e venivamo da paesi vicini della provincia di Verona. È stata una bella prova, per entrambe. L'entusiasmo iniziale è stato presto soppiantato inizialmente dal fastidio, poi dalla repulsione ed infine dalla completa accettazione. Questa era la situazione e non si poteva cambiare: inutile farsi la guerra.

Il progetto di Elena era saltato per un qualcosa che stava travolgendo e stravolgendo la nostra realtà: la pandemia di Covid19. Come infermiere, eravamo nell'occhio del ciclone, e il nostro sforzo era inderogabile. Così la nostra iniziale idea di convivenza di qualche mese, si è protratta per più di un anno. Un anno che è stato costellato da tanti fraintendimenti, ma soprattutto da tantissime risate, complicità e lezioni di vita. Sì perché vivere con Elena mi ha insegnato così tanto su me stessa, che non posso non condividerlo con tutte voi.

Elena mi ha insegnato quanta bellezza c'è nella fragilità, nell'autenticità dei propri sentimenti e di se stessi.

 
 
Nell'imperfezione ho sigillato un'amicizia
 
 

Elena mi ha insegnato la bellezza dell'imperfezione. Un argomento per me, nuovo e sconcertante. Io, perfezionista incallita, al limite della sopportazione umana. Elena lo sa bene. Vorrei che tutto, da sempre, fosse perfetto nella mia vita: il mio fisico, le mie opinioni, il mio lavoro, le mie relazioni… . O almeno che sembrasse perfetto, agli altri.

Lo scontro con Elena e la sua realtà così autentica e sfacciata, mi ha dapprima innervosito, poi incuriosito e infine ammaliato. Sì perché Elena, non nascondeva i suoi sentimenti. Non voleva tacere il suo malcontento, a volte forse anche troppo, ma tu sapevi quello che le passava per la testa. Non lo nascondeva. Era lì, spiattellato nella sua cruda verità. Stava te accettarlo o meno. Tutta questa sincerità, mi stordiva.

Nella mia casa di origine, bisognava sempre mostrarsi in ordine, nell'aspetto e nelle emozioni:

"Le scenate non piacciono a nessuno Lisa, a nessuno interessa il tuo broncio.

Stampati un sorriso in faccia e guarda sempre dritto".

Questo era quello che mi avevano insegnato. Ed ora, invece, Elena mi dimostrava palesemente il contrario. Lei mi metteva il broncio, quando qualcosa la infastidiva e non lo nascondeva dietro alcun sorriso. Non mi faceva proprio sorrisi, meno che meno quando era arrabbiata o affamata.

Quando provai a farle notare che c'era di peggio al mondo, Elena mi redarguì. Il suo dolore era importante così come quello degli altri e lei era intenzionata a viverlo completamente, senza banalizzarlo. Lei era il giudice del proprio dolore, in effetti era lei che lo viveva. Scioccamente non applicavo al dolore emotivo la stessa importanza che, banalmente, applicavo a quello fisico. A scuola ci avevano insegnato che il dolore è soggettivo e il paziente va creduto quando definisce il valore del suo dolore, nelle scale utilizzate nella valutazione infermieristica di questo parametro vitale.

Elena aveva ragione.

Nella buona fede dei miei genitori, che volevano che adottassi una mentalità positiva davanti alle difficoltà, io avevo imparato a banalizzare il mio dolore e probabilmente anche quello degli altri. Elena me lo stava dimostrando. È stato in quel momento che ho iniziato a guardare Elena con curiosità e ammirazione.

Elena non era perfetta e non cercava di nasconderlo. Lei era quello che era e ci rideva sopra, il più delle volte. Elena poteva essere sbadata, maldestra e schietta. Lo sapeva, ma non ne faceva un dramma. Continuava a migliorarsi senza pretendere l'impossibile da se stessa. Rimaneva nei contorni della sua identità di essere unico e inimitabile.

Lei era quello e tanto altro e la sua bellezza era proprio qui. Nessuno poteva essere maldestro come lei, così come nessuno poteva essere premuroso e dolce al suo stesso modo.

Nell'imperfezione lei gridava la sua unicità.

E ha insegnato a farlo anche a me. Ho rotto le righe della mia inappuntabile morale e ho liberato la mia indole imperfetta. Non c'era necessità di fingere. Elena me lo dimostrava ogni giorno e le sarò sempre grata per questo. Finalmente ci guardavamo con gli occhi della verità. Entrambe. E abbiamo riso. Felici perché era stata la stessa nostra imperfezione a sigillare la nostra amicizia.

 

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